Categoria: Cultura

  • L’utilità arcana della “vita plurale” – Nano Morgante

    L’utilità arcana della “vita plurale” – Nano Morgante (la trascendenza, i pilastri della creazione

    GENOVA. 18 GIU. C’é chi pensa che ogni fatto che ci accade attorno, in qualche modo collegato alle nostre relazioni affettive ed alla nostra quotidianità, assolva allo scopo di implementare ed alimentare le personali riserve di trascendenza e di esperienza; di forgiare interiormente le idee; di tradurre e rimuovere le nostre ataviche, ereditate paure.

    Immagino sia azzardato parlare di Karma, di certi oscuri ed esoterici segnali di passate, ipotizzate esistenze.

    Tuttavia intendo avviare la trattazione proprio verso questo misconosciuto e  (s)confinato indirizzo, proprio in quanto fuori dalle rotte tradizionali.

    Indirizzo che potrebbe aiutarci a comprendere, riconoscere e tradurre, quantomeno presuntivamente, taluni misterici segnali “da chissà dove”, in termini di evoluzione introspettiva.

    In effetti, é innegabile che il “divenire” dell’uomo si affievolisca e di giorno in giorno si intimidisca di fronte ad un suo “essere”  incerto, ad un suo incedere altalenante, alimentato più da malfidenza che da più distinti ed elevati sentimenti.

    Tutto sommato, non farebbe male ricondurre il pensiero, oltre gli ambiti di natura strettamente confessionale, al fatto che siamo e meritiamo ben altro del possesso materiale o dell’ambizioso  decoro sociale, brandelli di una Società ormai sfornita di ideali degni di menzione.

    Vi è esigenza di una “vita plurale” (cit. Angel Crespo). O, meglio ancora, di ricorrere ad una visione plurale dell’esistenza.

    Se non altro, avere pronta un’opzione  qualora non funzionasse appieno la nostra visione  tradizionale dell’esistenza, quella (apparentemente) più tranquillizzante.

    Massimiliano Barbin Bertorelli ( Nano Morgante )

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  • Ukraine on fire di Oliver Stone al Taormina Film Fest

    Oliver Stone

    MESSINA. 18 GIU. Al Taormina Film Fest è approdato Ukraine on fire di Igor Lopatonok, il film di cui Oliver Stone è coproduttore.

    Il regista di “Platoon” ha la visione molto chiara riguardo la politica estera americana infatti dice tranquillamente “Quello che succederebbe se fosse eletto Clinton o Trump conta poco. Negli Usa conta solo il sistema. Anzi la posizione di Hillary rispetto al sistema è ancora piu forte di quella di Obama”.

    Riguardo il film documentario che racconta le complicate vicende subite da una terra di confine e da sempre contesa, per la sua collocazione geografica, di cui ha curato le interviste si pronuncia così:” In questo film raccontiamo le cose in una prospettiva diversa, mai sentita. È difficile capire cosa è accaduto anche perché si confondono i nomi dei molti protagonisti. La cosa buffa è che un documentario come “Winter on fire: Ukraine’s Fight for Freedom”di Evgeny Afineevsky, che parlava degli stessi temi, è stato a un passo dagli Oscar, un lavoro però fatto tutto con materiale ufficiale e che diceva poco della verità di ciò che è accaduto”.

    Si parla degli scontri a Kiev per Euromaiden del 30 novembre 2013, per i quali ci furono centinaia di morti tra poliziotti e manifestanti; della storia del nazionalismo ucraino e del suo leader Stepan Bandera, nemico sia di ebrei che di russi, da sempre coperto dalla Cia; da quello che c’è dietro le cosiddette ‘rivoluzioni colorate’ (Serbia, Giorgia, Kirghizistan), movimenti a volte spontanei, ma poi pilotati dall’intelligence anche attraverso infiltrazioni delle Organizzazioni Non Governative.

    “Immaginate se una cosa del genere la facesse il Messico – dice Stone – , se pagasse oppositori messicani, il caso sarebbe subito stroncato dagli Usa come è successo per Occupy Wall Street”.

    Dalla sua conoscenza con Putin dice: “Sono stato colpito dalla sua natura non emotiva. Era molto calmo, ragionevole, e non mostrava di voler attirare simpatia, un uomo che conosce le cose”.

    FRANCESCA CAMPONERO

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  • La nozione minima di verità & il plauso a comando

    Avere la nozione consente una fluente trattazione

    GENOVA. 11 GIU. C’é un motto latino che, tradotto letteralmente, afferma: conosci l’argomento, le parole seguiranno. Il senso è immediatamente comprensibile: sapere le cose ne consente una fluente trattazione.

    Ma i tempi mutano, con le esigenze. E quindi anche i proverbi ed i motti richiedono ri-adattamento ad altre e sopravvenute condizioni del mercato.

    In buona sostanza, pare proprio che oggi l’improvvisazione abbia soppiantato la conoscenza. E tale improvvisazione, laddove pare emergere da una consuetudine oratoria spesso urlata e fumosa, viene affiancata da una trattazione intrisa non di rado di un “assoluto vuoto d’idee”  (Michele Ainis – LaLettura del CorSera).

    Nondimeno, continua sempre ad ammaliarci il relatore del momento quando si erge spavaldo a difensore etico delle nefandezze; quando si appella mediaticamente alla propria tetragona, annibalica volontà di conseguire l’interesse pubblico.

    E ci prospetta, consapevolmente, un ennesimo appiglio alla “speranza”: virtù  tradizionalmente collocata sempre “ultima”, sempre in fondo, come nel Vaso di Pandora.

    In nome di una nozione minima di verità, giace, in questo preciso momento, una folla, udente e poco ga-udente,  in attesa di plaudire a comando, di esprimere ovazioni in playback.

    Una folla in attesa dei saldi di fine stagione, della sconfessione urlata, dello scoop,  sempre a sacrificio della “verità” ed a beneficio di una sempre più esigente audience.

    Non la fantasia al potere (magari), bensì disperata vanagloria, inessenziale ostensione mediatica, irrinunciabile notorietà.

    Fino a che questa  emergente “nozione minimale di verità” disveli  “fini men che nobili”  di quelli tanto a lungo proclamati.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Da Ligucibario un omaggio agli agrumi con ricette

    Agrumi. Francisco de Zurbaràn, Natura morta

    GENOVA. 7 GIU. Un omaggio agli agrumi, dalla Liguria di Ligucibario®. Si suggerisce di leggerlo “regalandosi” ogni tanto uno sguardo al magnifico quadro “Natura morta con limoni, arance e una rosa” (1633) di Francisco de Zurbaràn.

    FRUTTO FARMACO Agrume deriva dal medievale acrumen = agro (acer), termine che rinvia alla sensazione di aspro, percepita in bocca dalle papille fungiformi disposte lateralmente sulla lingua. Gli agrumi da sempre entusiasmano proprio per l’unione di aspro e dolce

    FRUTTO TRIBUTO Le prime citazioni riguardanti gli agrumi in Cina datano attorno al 2200 a.C., essi erano un importante tributo all’imperatore, cui giungevano anche dalle regioni più periferiche, si può dire che in quella civiltà gli agrumi recitassero il ruolo che fu poi della vite in àmbito greco-romano-mediterraneo

    FRUTTO FECONDITA’ L’arancia deriva forse il proprio nome dal sanscrito nagaranja = frutto prediletto dagli elefanti, termine che si mescolò al latino aurum ( = oro) per il colore luminoso del frutto, simbolo di fecondità.

    FRUTTO ORNAMENTO La Sicilia è debitrice delle arance (bionde) agli arabi dei secoli IX-X, e all’estetica dei giardini, che fino a tempi recenti ornavano fittamente anche il centro di Palermo (perché gli agrumi come noto hanno piante evergreen, di bell’aspetto, e popolano tuttora i giardini botanici più “artistici”)

    FRUTTO SORBETTO I califfi divennero ben presto ghiotti di sorbetti profumati, a base di neve dell’Etna, zucchero di canna e succo d’arancia

    FRUTTO PORTOGALLO Mezzo millennio più tardi, trascorse le Crociate e attenuatosi il dominio delle repubbliche marinare sul Mar Nero, gli scambi soprattutto coi portoghesi, “padroni” del Brasile – ormai il ponte fra civiltà era gettato – , diedero infine altro impulso alla coltivazione

    FRUTTO LIGURIA Pernambucco, Siviglia…, qualcosa crebbe bene anche in Liguria, le bionde dolci Pernambucco sono celebri nel finalese, le bionde amare Siviglia, immangiabili da crude, si trovano ad es. a Vallebona (IM)…

    FRUTTO PATRIZIATO Non è casuale che il grande pittore Sandro Botticelli (1445-1510) raffigurasse alcuni aranci come sfondo per la sua “Primavera”, né che Bartolomeo Bimbi (1648-1730) “fotografasse” le arance rosse del Granducato di Toscana, né che per le piante si attrezzassero serre, le celebri “orangeries”, ovunque il clima poneva a repentaglio la loro esistenza, né infine che il finalese Giorgio Gallesio (1772-1839) dedicasse così tanto tempo alla tassonomia degli agrumi…

    FRUTTO MODA …insaporisce arrosti poi anche pesci, origina le “acque ghiacce” (antesignane della granita), entra in marmellate e farmaci, innamora di sé i profumieri, sappiamo che nel ‘700 da Messina carichi redditizi salpano verso Roma, Venezia, Trieste, Inghilterra, Olanda, Danimarca, Svezia…

    FRUTTO PAESAGGIO “viuzze che…mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni”. Sono parole di E. Montale, I limoni, dalla raccolta Ossi di seppia (1925)

    FRUTTO RICETTA Sul mio blog, Liguricettario, l’insalata d’arance (http://liguricettario.blogspot.it/2011_05_01_archive.html ), il filetto di pesce con zafferano e arance (http://liguricettario.blogspot.it/2011/05/filetto-di-pesce-con-zafferano-e-arance_6.html ), il rollé di coniglio al basilico e spicchi d’arance (http://liguricettario.blogspot.it/2011/05/rolle-di-coniglio-al-basilico-e-spicchi_9.html ), le scorze d’arancia candite (http://liguricettario.blogspot.it/2010/11/scorze-darancia-candite_2.html )

    FRUTTO SCORZA Dei limoni, l’agrume più coltivato in Italia, si utilizza soprattutto il succo, ma in passato (prima dell’avvento degli anticrittogamici…) anche le scorze, ricche d’essenze, da cui il liquore limoncino, o limoncello, le caramelle, ecc.

    FRUTTO ROMA? La pianta origina dall’India e dal sud-est asiatico, mosaici e sculture fanno ritenere che la conoscessero anche i Romani al culmine dell’espansione (circa 117 a.C.), teoria che, ove confermata, “smentirebbe” il cedro come unico agrume consumato in età imperiale

    FRUTTO RIVIERE Alla fine del XI secolo i commerci la approdarono a Salerno, Sanremo, Hyères…, dove trovò condizioni pedoclimatiche ideali (questa pianta è più esigente d’altre)

    FRUTTO COMMERCIO Appositi Magistrati, eletti ad aprile, presiedevano alla coltivazione e vendita dei limoni, organizzandone le modalità ed irrogando sanzioni. In fase di raccolta, con anelli di ferro si misuravano i frutti, scartando gli inadatti (si veda lo studio ottocentesco di Eraldo Mussa, Gli agrumeti nell’estremo ponente ligure), queste misure fiscali andavano dai 54 ai 35 mm

    FRUTTO QUALITA’ I limoni da vendita erano chiamati “alla todesca” (còlti acerbi, maturavano dentro casse viaggianti verso i mercati), viceversa i “caravana” erano limoni maturi, da vendita e consumo solo locale. Altri limoni, infine, si spremevano onde ricavare per distillazione l’agro (acido citrico), commerciato anche all’estero per bevande, tinture, come emostatico o diuretico

    FRUTTO “SPECCHIO” E’ dell’Africa settentrionale (Marocco…) la tradizione dei lamoun makbouss, limoni in salamoia, pressati almeno 40 giorni in un barattolo con sale e varie spezie. Il Mediterraneo, continui dialoghi da sponda a sponda…

    Umberto Curti, www.ligucibario.com

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  • Zimmermann trionfa all’Opera di Nizza

    Zimmermann trionfa all’Opera di Nizza

    NIZZA. 6 GIU. Una serata d’eccezione quella di venerdì 3 giugno alle ore 20  all’Opera di Nizza che ha visto protagonista il grande violinista tedesco Frank Peter Zimmermann nell’esecuzione del concerto per violino in re maggiore di Tchaikovski.  Uno splendido concerto , l’unico per violino che scrisse il compositore russo, composto rapidamente, animato probabilmente anche dai sentimenti personali che l’autore provava verso il giovane violinista Josif Kotek, il quale lo aiutò nella stesura occupandosi della praticabilità esecutiva.

    Questo concerto è di fatto  una delle pagine di più straordinario virtuosismo che per violino siano mai state scritte, e soprattutto nel primo e nell’ultimo tempo al solista sono affidati compiti veramente trascendentali. Ciaikovskiana al cento per cento è l’impostazione di tutto il concerto , nei suoi episodi enfatici come in quelli più liricamente raccolti. L’”Allegro moderato” iniziale è costruito in una forma di sonata trattata peraltro in maniera tutta personale, mentre nella “Canzonetta” troviamo l’idea melodica forse più genuina di tutto il Concerto . “L’Allegro vivacissimo” conclusivo è la pagina di più brillante virtuosismo del Concerto: i temi si rincorrono, si superano, si variano, conseguendo straordinari effetti di sonorità, dove sarebbe vano ricercare una profonda necessità d’espressione.

    L’attacco di Zimmermann ha un vibrato ricco e sonoro. Anche quando la partitura richiede più aggressività  il suono è continuamente portato, parlante, e le agilità vengono affrontate con piglio deciso e sobrio. Da parte sua, l’orchestra ha il merito di rimanere molto compatta, aderente alla funzione di supportare il solista, ma anche di dialogare con lui, soprattutto verso la conclusione del concerto, quando le impennate liriche mettono alla prova l’equilibrio delle forze orchestrali. Tanta parte ha anche il timbro dello strumento suonato da Zimmermann, uno Stradivari del 1711 conosciuto col nome di Lady Inchiquin, appartenuto, sembra, a Friedrich “Fritz” Kreisler.

    Il violinista tedesco vanta un’ intensa carriere concertistica internazionale a fianco di orchestre prestigiose e con rinomati direttori, che lo portano nelle più importanti sale e festivals musicali di Europa, Stati Uniti, Giappone, Sud America e Australia. In formazione cameristica e in recital si è inoltre esibito in numerosi concerti in tutto il mondo, acclamato dalla critica e dal pubblico. Suoi partners abituali sono i pianisti Piotr Anderzewski, Enrico Pace e Emanuel Ax. Detentore di numerosi premi e riconoscimenti, ha costruito negli anni un’ampia discografia per EMI Classics, Sony Classical, BIS, Ondine, Teldec Classics and ECM Records, più volte premiata a livello internazionale.

    Non meno interessante la seconda parte del programma che comprendeva il poema sinfonico Pelleas und Melisande di Schoenberg.  Di derivazione tardo romantica (Ein Heldenleben, Also sprach Zarathustra, Don Juan) il poema sinfonico, la cui musica a tema era molto in voga ai tempi di Schoenberg,  incanta il futuro padre della dodecafonia che non perde l’occasione di studiare il genere musicale a quel tempo più ambito dai compositori. La rottura con il sistema tonale avverrà più tardi, naturalmente, tanto che oggi l’ascolto del Pelléas di Schönberg riserva qualche sorpresa.La mimesi con la musica di Strauss e di Brahms, com’è ampiamente noto, durerà poco, ma il dramma divenne presto un punto di riferimento per i compositori come Debussy.

    L’orchestra sinfonica dell’Opera  Nizza sotto la direzione del Maestro Philippe Auguin è stata impeccabile nell’esecuzione di una partitura ricca di passaggi contrappuntistici e disseminata di ricchi e forti contrasti cromatici sinfonicamentegrevi . 50 minuti di musica affascinante , a tratti lugubre, a tratti lirica, a tratti profondamente dissonante, che ha visto impegnata un’orchestra di grandi proporzioni: 17 strumentisti ai legni, ben 18 agli ottoni, almeno una mezza dozzina di percussionisti. Un opera che si svolge senza soluzione di continuità, in cui  tutti i tempi , da silenziosi adagi a fortissimi larghi tipicamente sinfonici, si succedono con ampia libertà.

    Lo spettacolo aveva replica anche sabato 4 giugno alle ore 18.

    FRANCESCA CAMPONERO

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  • Il sacro vino nell’antichità mediterranea

    La cultura del vino negli antichi greci

    GENOVA. 1 GIU. Oltre che bevanda, nell’antichità mediterranea il vino era anche alimento, sacro fin dai tempi di Dioniso (il Bacco dei Romani), dio incline all’ebbrezza ma al tempo stesso esperto di aratro e di miele.

    La vite giunse progressivamente in Mediterraneo da est, cioè dal luogo in cui si leva il sole. I Fenici, marinai e commercianti evoluti, circuitarono specie e pratiche prima dei Greci.

    Erodoto aveva attribuito ai Persiani una sfrenata inclinazione al vino, i Greci risultarono più contenuti ed esigenti, benché diluissero il vino con acqua marina, lo affumicassero, e impermeabilizzassero le anfore con resina di pino (aromatica)… Peraltro, quando i giovani ateniesi giuravano lealtà alla patria e agli dèi, invocavano – come testimoni – le vigne, il grano, l’orzo, gli ulivi, i fichi. E nell’Iliade e nell’Odissea già ricorrono sia alcuni luoghi vitati (Arne, Istiga, Epidauro) sia alcuni vini (il Pramnio, quello di Lemno, quello di Ismaro col quale Odisseo inebriò il Ciclope).

    I Greci bevevano vino nel symposion, fase del banchetto classico successiva al deipnon (cena) e finalizzata a “stare” con gli altri, ritualmente, giocando a “còttabo” e seguendo i suggerimenti di un simposiarca, che presiedeva al tutto e officiava libagioni moderate. Ed è Roma, anche grazie ai suoi acuti studiosi di ruralità, che attenua l’import a beneficio dei propri vini ormai tipici, che in séguito trasporta la viticoltura nelle Gallie e che rende Spagna, Marocco ed Egitto nazioni esportatrici di produzioni d’élite, non di rado dentro recipienti in cui già si segnano l’annata e la provenienza delle uve… Quelle vendemmie erano sovente tardive, perché da uve surmaturate si ottenevano vini densi, dolci, aromatici “alla greca”, che – qualora di qualità – tolleravano meglio la vecchiaia, altrimenti andavano bevuti sùbito.

    La loro “liquorosità” riusciva talmente grata che alcuni territori importarono ed impiantarono direttamente i vitigni da cui quei vini si ottenevano. Questi vitigni storici, insieme agli alloctoni, compongono l’attuale ampelografia mediterranea, sovente caratterizzata da fattori pedoclimatici unici al mondo.

    Il vino da sempre accompagna il corpo di Cristo nella liturgia eucaristica, il vino è vita e civiltà in chiara contrapposizione all’arretratezza oscura, il vino incarna ed evoca la mediterraneità (la Sicilia da sola oggi ne produce tanto quanto l’Australia, potrebbe figurare come settima nazione produttrice al mondo…).

    E come se non bastasse scriveva già l’enciclopedista Plinio il Vecchio che “nella qualità del vino influiscono il luogo e il tipo di terreno, e non l’uva o la scelta del vitigno, dato che la medesima varietà piantata in luoghi differenti genera qualità differenti”. Voilà dunque un vino mediterraneo che molti in generale hanno via via qualificato come generoso, longevo, portatore – ancora una volta – di caratteri unici e “solari” anche in virtù della vicinanza fra vigne e mare, lo zibibbo di Pantelleria, il moscato greco di Patrasso e Rodi, le malvasie sarde (malvasia deriva da Monemvasia, porto bizantino nel Peloponneso donde salpavano i vini di Creta e Cipro, destinati ad ecclesiastici e potenti)…

    Un panorama ampelografico che in Italia poggia su terroir pienamente vocati come Liguria, Sardegna, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia… In Francia focalizza subito Corsica, Provenza e Languedoc-Roussillon. In Spagna individua le autenticità prioritarie in Catalogna, Valencia, Murcia e Andalusia. Ottimi vini si producono anche in Slovenia, Croazia, Grecia, Cipro, Turchia, Israele, Libano (la felice valle della Bekaa, già fenicia, dove la vite soprattutto a bacca bianca alligna a causa o in virtù del colonialismo francese, che dominò l’area fra le due guerre. Si realizzano alcuni milioni di bottiglie (il 40% delle quali viene esportato in una ventina di Paesi), fra cui splendidi barricati e vini dolci liquorosi).

    Umberto Curti, www.ligucibario.com

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  • Arriva al cinema Sexxx, il film che ha conquistato Madonna

    Arriva al cinema Sexxx, il film che ha conquistato Madonna

    GENOVA. 31 MAG. Dopo il successo di critica e di pubblico al Torino Film Festival, il 4 e 5 luglio nelle sale italiane arriva Sexxx, il film libero e sensuale ispirato allo spettacolo di Matteo Levaggi, considerato una delle espressioni di punta della danza contemporanea italiana nel mondo.

    È una sera di novembre quando il regista Davide Ferrario si reca alla Lavanderia a Vapore di Collegno, edificio ottocentesco poco lontano da Rivoli adibito un tempo al lavaggio dei panni del Regio Manicomio e ora centro d’eccellenza della danza. Sta per assistere a SEXXX, lo spettacolo di Matteo Levaggi messo in scena dal Balletto Teatro di Torino, e ne rimarrà talmente colpito da decidere di farne un film.

    Come sempre accade per le opere di Ferrario, però, SEXXX non è solo la documentazione di quanto il regista osserva quella sera. La messa in scena della coreografia per il cinema – realizzata con montaggio e punti di vista insoliti per la videodanza tradizionale e con una colonna sonora che contempla David Bowie, Ultravox, Giorgio Canali, The Longcut, Ooioo e Massimo Zamboni mentre la musica originale per il balletto è di Bruno Raco – si arricchisce infatti di ricognizioni visive sul corpo nudo raccontato attraverso varie forme espressive, dalla pittura classica ai set dei film porno, con anche l’aggiunta di una sorta di fiction in forma di cortometraggio.

    Dopo la presentazione all’ultimo Torino Film Festival,  la stessa Madonna ha chiesto di vedere il film, inviando quindi i suoi apprezzamenti al regista. “Il corpo e il suo linguaggio – dice il regista riguardo a Levaggi – e sono da sempre tra i temi che mi interessano di più. Per questo SEXXX è una ricognizione visuale sulla messa in scena del corpo nudo: dai nudi classici di Tintoretto e Palma il Vecchio fino a quelli dei set porno visitati quando realizzai GUARDAMI. Insieme danza, documentario, fiction e forse video arte, il film non si lascia ingabbiare da nessun genere. Ho cercato di riprendere la danza come se raccontasse una storia, utilizzando uno stile strettamente cinematografico, quasi che la macchina da presa fosse un altro elemento della coreografia, spesso aggiungendo movimento a movimento. Credo che l’esperienza che ne avrà lo spettatore sarà lontanissima da quella del punto di vista della platea che ha visto lo spettacolo a Collegno”.

    Il film di Ferrario non si rivolge solo agli appassionati di danza moderna ma parla anche a coloro che si interrogano a tutto tondo sul ruolo della fisicità e del gesto nel mondo contemporaneo, come testimonia la sequenza della performance di Levaggi stesso con gli artisti visivi Corpicrudi.

    SEXXX  è prodotto da Rossofuoco con il sostegno di Lombardia Film Commision e Film Commission Torino Piemonte, sarà nelle sale italiane distribuito da Nexo Digital con il media partner MYmovies.it.

    FRANCESCA CAMPONERO

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  • Janet Ross, Leaves from our Tuscan Kitchen

    Janet Ross Leaves from our Tuscan Kitchen

    GENOVA – Numerose le donne che si dedicano allo studio e alla divulgazione del sapere gastronomico, tanti i volti (e le firme) ormai noti al pubblico attraverso i media tradizionali e la blogosfera.

    Nel tempo, alcune esponenti di questo universo al femminile si sono rivelate anche eccezionali “ambasciatrici” di cucine straniere (a inizio anni ’60 fu Julia Child a rivelare agli USA le meraviglie dell’arte culinaria francese) e di inedite tecniche culinarie (il ringraziamento ad Elena Spagnol per aver sdoganato in Italia la pentola a pressione è testimoniato dalle ristampe a furor di popolo del volume omonimo).

    Tra le pioniere del food writing merita una menzione speciale Janet Ross (1842 – 1927), scrittrice di viaggi e diarista che nel 1899 diede alle stampe Leaves from our Tuscan Kitchen, il primo manuale di cucina sulle verdure pubblicato in Gran Bretagna. How to cook vegetables recita infatti il sottotitolo di un volume ancora oggi bestseller della letteratura gastronomica d’Oltremanica grazie agli aggiornamenti di Michael Waterfield, erede dell’autrice, cuoco e ristoratore.

    La piccola grande rivoluzione della Ross fu di aver fatto scoprire all’Inghilterra edoardiana l’universo “sconosciuto” delle verdure, all’epoca ritenute poco più di una decorazione della portata principale, un banale panorama di patate, piselli e cavoli lessi, stigmatizza l’autrice nella prefazione del volume. Ma per fortuna “l’innato amore dell’essere umano per il cambiamento è evidente anche in cucina”.

    Le ricette accuratamente raccolte e proposte dalla Ross sono quelle di Giuseppe Volpi, suo cuoco per più di trent’anni nella villa toscana di Poggio Gherardo. Ben lungi dall’essere l’ennesima ricca lady britannica annoiata e in buen retiro fiorentino, Janet visse un’esistenza (auto-narrata in The Fourth Generation) movimentata e per nulla indolente.

    Di ottima famiglia, cresciuta nell’élite intellettuale dell’epoca, intorno al 1870 a causa delle traversie economiche del marito, un banchiere, si trasferisce in Toscana. Qui rivela ottime doti imprenditoriali e di PR: conduce la tenuta di Poggio Gherardo, ne vende con profitto i prodotti, esplora l’Italia, collabora con alcune riviste, pubblica libri di successo e diventa un punto di riferimento della comunità angloamericana locale.

    Il volume è dedicato proprio a una coppia di amici inglesi, nell’auspicio che “a thought of Italy” (un pensiero, un ricordo dell’Italia) raggiunga la loro bella casa nel Surrey. Ed Italia ce n’è molta in questo ricettario, dagli ingredienti, alle ricette, alle preziose indicazioni sulla preparazione delle verdure (compresa la necessità di lavarle prima dell’utilizzo…): un oceano di notizie che l’autrice trae anche da “Come si cucinano i legumi”, pubblicato pochi anni prima dalla Fratelli Ingegnoli di Milano, storica (inizio ‘800) azienda specializzata nella vendita di sementi (in attività ancora oggi) probabilmente fornitrice della volitiva businesswoman anglo-toscana.

    L’indice del volume (si fa qui riferimento all’edizione del 1903) è rigorosamente alfabetico, circa 350 ricette da “Artichokes alla Barigoul” (carciofi farciti con carne di maiale e funghi, fritti in padella e messi al forno con burro e brodo) a “Truffles sul tovagliolo” (tartufi bolliti – sic! – in brodo di vitello e Madera) articolate nei seguenti capitoli: artichokes (carciofi), asparagus, (asparagi), bean (fagioli), beet leaves (bietole), beetroots (barbabietole), broccoli, Brussels (cavoletti di Bruxelles), cabbage (cavoli), capsicum (peperoni), cardoons (cardi), carrots (carote), cauliflower (cavolfiori), celery (sedano), cucumber (cetrioli), egg-plant (melanzane), flan, leeks (porri), lettuce (lattughe), lentils (lenticchie), maccaronis and other pasta, mushrooms (funghi), onions (cipolle), parsnips (pastinache), peas (piselli), polenta, potatoes (patate), pumpkins (zucche), rice (riso), risotto, salads (insalate), sauces (salse), soups (zuppe), tomatoes (pomodori), truffles (tartufi). Nome della verdura in inglese, ma rigorosamente in italiano le modalità di preparazione: al forno, fritte, al burro, alla crema, al gratin, pasticciate, piatti spesso “strong”, ricchi di grassi animali e adatti ai robusti palati della belle époque. Nonostante il tema “green”, il ricettario presenta sezioni su pasta (compresi “agnelotti” e gnocchi alla romana), riso e risotti, e ricche sezioni dedicate alle insalate (5 le varianti per l’insalata di pomodori), alle salse (segnaliamo la “caper sauce alla genovese” – cipolla trita, prezzemolo e acciughe passati in padella e cotti nel brodo con aceto ed erbe aromatiche) e alle zuppe.

    Ancora oggi Leaves from our Tuscan Kitchen è un ricettario ricco di spunti intriganti e al tempo stesso una cronaca gourmet del tempo che fu. Una lettura godibilissima, etnogastronomica e sostenibile – l’edizione del 1903 la si trova digitalizzata su www.archive.org. (nella foto: il libro di Janet Ross:  Leaves from our Tuscan Kitchen).

    Umberto Curti, www.ligucibario.com

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  • Domanica Marte vicino alla Terra

    Il pianeta Marte domenica sarà vicino alla terra

    GENOVA. 20 MAG. Domenica 22 maggio, a partire dalle ore 21.30, apertura straordinaria del Nuovo Planetario del Parco delle Mura dedicata a Marte nella serata in cui il pianeta rosso si trova in opposizione, cioè nelle condizioni migliori di osservabilità degli ultimi due anni.

    Il pianeta rosso e la Terra si troveranno dalla stessa parte rispetto al Sole nel percorso delle loro orbite. Questo significa che saranno molto vicini. L’ultima volta che si è verificato un evento simile è stato nel 2003. La Nasa avverte: “Il cielo di fine maggio avrà un ospite speciale. Marte brillerà e apparirà più grande di come è apparso negli ultimi due anni. Non c’è bisogno di alcun telescopio. Si Dovrebbe riuscire a vederlo ad occhio nudo”.

    Mentre in Aula Planetario avrà luogo la proiezione “Alla conquista di Marte”, al telescopio dell’Osservatorio, tramite turni ripetuti di circa 30 minuti, effettueremo un’osservazione pubblica dei pianeti Marte e Giove (a causa della limitata altezza sopra l’orizzonte il pianeta rosso sarà però osservabile solo a partire dalle ore 23.00).

    FRANCESCA CAMPONERO

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  • Blanka, di Kohki Hasei, vince ed attende distributore in Italia

    Blanka

    ROMA. 28. APR. Che un film che narra di una ragazzina di strada a Manila – ” Blanka ” ( Giappone/ Italia /Filippine ) di Kohki Hasei – venga recentemente premiato con Le Grand Prix da una Giuria Internazionale composta da altrettanti minorenni, ha del fiabesco che ci induce a guardare alla società futura con speranza, perché si evince che l’autore ed il produttore abbiano centrato l’obiettivo.

    E’ successo nell’ambito della recente 34°Edizione del Festival International Ciné – Jeune de l’Aisne, ancora in corso fino al 29 aprile a Laon (Francia), con una Giuria composta da adolescenti minori di variegata provenienza: Germania, Polonia, Italia, Collegio Camille Desmoullins, à Guise. Ed il film in questione è appunto Blanka, ballata poetica a sfondo sociale, su cui la cronista ha il piacere di soffermarsi.

    Prima di raccontare la trama, è bene sottolineare che Blanka è un film che nasce da lontano e che presenta un iter peculiare che merita attenzione anche come vessillo d’incoraggiamento per i nuovi futuri filmmakers. Il regista, Kohki Hasei, modello da giovanissimo, è un ipersensibile artista in pieno stile nipponico, che alla seconda Edizione ( 2009 ) del Kustendorf Festival, il festival del Cinema creato dal grande Emir Kusturica tra i boschi e le colline di Mokra Gora,  si presenta e vince l’Uovo d’Oro, ossia il primo premio, con il Cortometraggio Godog ( 2007 ), short-movie dalla tematica senza sconti che ha per oggetto la supposta normalità della vita di un gruppo di minori in una discarica a Manila.

    Non si può dire che Blanka si ispiri a questo primo lavoro,  ma certamente ne prende le mosse. Dalla Serbia il giovane Kohki che nel mentre ha elaborato la sceneggiatura per il suo Blanka, entra in contatto con il  producer romano, Flaminio Zadra, cofondatore de La DorjeFilm production company che, certamente, in questi anni (esiste dal 2003 ) ci ha donato dei gioielli cinematografici in collaborazione con il filmmaker turco/tedesco Fatih Akin, come ad esempio: ” The Edge of Heaven ” ( 2007 ),  ” Soul Kitchen “( 2009 ) e molto altro.

    A Flaminio Zadra piace l’idea di Kohki e la implementa in un progetto del tutto ” made in Italy” che non tutti conoscono, in riferimento alla Biennale College – Cinema di Venezia. Si tratta di un vero e proprio bando, in base al quale vengono selezionate 12 tra le molte proposte presentate da un connubio artistico che consti di un produttore e di un regista alla sua prima o seconda opera. A seguito di un primo workshop, si qualificano i migliori tre gruppi che frequentano poi un severo periodo di alta formazione e con il supporto di un tutor della Biennale elaborano la sceneggiatura e la produzione dei tre lungometraggi, ai quali non è concesso di usufruire di altri fondi rispetto a quelli stanziati dal programma che è evidentemente volto a dar corpo alle opere di validi autori emergenti nell’ottica delle produzioni micro e low budget.

    In questo contesto nel 2015 nasce Blanka, 75 minuti per un costo di 150 mila euro, che la maggior parte della critica ha definito una ” favola moderna”, sebbene ad un occhio più attento il racconto pur poetico non si astiene affatto dal trasudare una realtà amara, dove i minori orfani, quindi ” di strada “, sono abbandonati ad un percorso esistenziale fragile e senza tutele. Siamo a Manila nelle Filippine, molto lontano da qui eppure nella stessa epoca ed appesantisce il cuore l’apprendere, da un piacevole colloquio con Flaminio, che i minori con qualche bega legale siano posti in stato detentivo in gabbie, non strutturalmente solide, ma senza che quest’ultimo elemento tecnico ne cambi l’accezione.

    Così nella pellicola l’undicenne Blanka, interpretata dalla splendida voce di Cydel Gabutero, si aggira per le strade di Manila, vivendo di piccoli furti ai turisti con il cui “ricavato” sogna di comprare una madre. Ed in questo desiderio si addensa tutto il peso di una realtà troppo arida persino per una ragazzina che, come la nostra Blanka, ostenti durezza. Quasi in esordio del film incontra una sorta di figura genitoriale in Peter, uomo di 55 anni, cantore e musicista cieco, interpretato da un intenso Peter Millari purtroppo recentemente scomparso, il quale pur essendo lui stesso esposto ad una vita precaria, le offrirà amore filiale, insegnandole a cantare anche per farne un mestiere.

    Ma gli ostacoli sul cammino non saranno da poco ed ad un certo punto la medesima Blanka chiederà a Peter d’accompagnarla in orfanotrofio, dove non resisterà neppure un giorno. Tornerà da Peter, l’unica sua figura di riferimento, sebbene questo implichi l’esiziale implosione esistenziale della vita di strada che un minore, almeno per i parametri giuridici nostrani, non dovrebbe conoscere mai. Nel visionarlo, le lacrime cadono copiose e spontanee dalle viscere, inevitabile.

    Sono numerosi i premi vinti da Blanka oltre all’ultimo francese: Venice Biennale College- Cinema 2015, Busan International Film Festival 2015, Tallin International Film Festival 2016, Goteborg International Film Festival 2016, Children Award -Fribourg International Film Festival 2016.

    La distribuzione è attualmente prevista in Francia, Spagna, Giappone e Taiwan. E l’Italia? Proprio l’Italia, da cui nasce l’asse portante del film nella persona del producer Flaminio Zadra e, che è un paese così attento alle tematiche di diritto minorile, ad oggi manca ancora di un distributore perché, si sa, investire in una pellicola non commerciale non è la consuetudine odierna del nostro belpaese. Ma la cronista è sempre certa che la potenza della cultura vinca sempre. C’è solo un tratto di strada in più da percorrere.

    Intanto congratulazioni al talentuoso Kohki Hasei ed allo scaltro Flaminio Zadra per averlo ” scovato “ed aver plasmato un solido progetto da un timido seme.

    Romina De Simone

    Leggi l’articolo originale: Blanka, di Kohki Hasei, vince ed attende distributore in Italia