Categoria: Cultura

  • Il Nano Morgante | Il naturale principio del cambiamento

    GENOVA. 17 SET. Interpretare gli eventi non equivale a stabilirne il vero significato, non di rado ben distante da ogni possibile e singola mentalizzazione.

    Cosa ovvia, visto che ogni interpretazione risente dell’elemento soggettivo del giudizio e che ogni singolo commento rappresenta solo l’angolatura di una multifocalità di pensiero.

    Sia come sia, tutto diviene, a prescindere da ogni possibile considerazione. Nulla resta uguale a sé stesso, pur conservandone indole, natura, essenza.

    Così, le forze della Natura, incontrollabili e primordiali, hanno sorpreso e spaventato fin dalle origini dell’Umanità ed  ancora sorprendono ed intimoriscono l’uomo contemporaneo, facendo percepire al massimo grado la sua inerme condizione.

    E manifestano con drammatica limpidezza, a chi ha occhi per vedere, il limite e la precarietà della nostra specie, la sua effimera e distruttiva presenza sul Pianeta.

    Non resta che prendere atto, senza alcuna riserva, che l’uomo mai é stato e mai sarà il padrone di alcunché, né di sé stesso né tantomeno della Terra, sebbene insensatamente pare considerarsi tale, dandone esiti altrettanto insensati ed autolesivi.

    Premesso ciò, evito accuratamente il percorso minato delle “probabilità” ed il pentagramma di emozioni che promana dalla atavica paura di ciò che non si conosce e non si vede: di ciò che è avvolto nel buio, precluso ad una immediata contemplazione e comprensione.

    L’inusitata e reciproca aggressività esercitata dall’uomo sull’uomo (cit. Hobbes) ed il dominio senza costrutto su ogni specie vivente, di matrice prettamente mercantile-economica, non hanno riverberato nel tempo, com’era prevedibile, un contesto sufficientemente evoluto e qualitativo di vita. Contesto che non ha introdotto né garantito rispetto e cura per il mondo di cui facciamo parte e di cui subiamo e subiremo i colpi e i contraccolpi.

    La natura è una “entità” in perenne irrequieto sommovimento (mi si conceda l’avventato concetto). Un inesorabile dinamismo avviluppa ogni cosa a sé; coinvolge e conforma tutto e tutti alle proprie immutabili, sovraordinate, naturali regole.

    D’altronde, “gli oggetti fisici sono veri aggregati di qualità in continuo movimento”, così come “ ciascun individuo altro non è che un insieme di sensazioni distinte continuamente mutevoli” (cit. Platone).

    Tale dinamismo offre sempre spettacolo e memoria di sé. Nel silenzio di un cielo stellato, nello spazio infinitesimo in cui deflagra la nostra misera idea del tempo, nell’infinità riassunta in un impercettibile istante.

    E proprio in quell’istante impercettibile, inconsapevolmente, tutto cambia. E da lì, ogni volta, tutto ricomincia.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

  • Il Nano Morgante | Lo smarrimento del lessico elementare

    Lo smarrimento del lessico elementare

    GENOVA. 3 SET. Alla fine dei conti (all’inizio, meglio ancora) si potrebbe notare l’esistenza di un nesso, di un legante, di un significato comune tra le cose.

    A conferma di ciò, anche il singolo dato scolastico,  tratto da qualche testo, rinvenuto in un cassetto della memoria, già lo si poteva magicamente connettere ad una rete di altri dati.

    Né più né meno come i tasselli di un “puzzle” sparpagliati alla rinfusa sul tavolo. Tutti indispensabili per assolvere, nella loro futura ed esatta collocazione, ad una funzione collettiva più significante di quella singola.

    Certamente, è arduo definire con un concetto unitario questo sterminato e psicologico aggregato di Umanità, questo “palcoscenico troppo grande per lo spettacolo che si gira”, come congetturava  Feynman.

    E’ anche vero che la finitudine in cui è gettato l’uomo impedisce  la piena  comprensione del dato universale ed assoluto, facendone egli parte solo per una infinitesima ed inessenziale porzione.

    Ipotizzando quindi l’estraneità di tale ampiezza dalla capacità contemplativa umana, si contempla tuttavia una innata tentazione speculativa, in apparenza illogica.

    Ma la “logica” è sempre una categoria afferibile alla natura ed alle vicende umane?

    Forzando l’ipotesi a favore, si comprende che ogni prospezione è via via sempre più zavorrata rispetto alla condizione di partenza.

    Opponendo a quanto anzidetto una fugace riflessione, capita che, volendo partire da un qualunque termine del lessico elementare, si tenti di astrarne e di contemplarne appieno il “significato” e, nel mentre, se ne smarrisca con l’assonanza il significato, entrando in una zona d’ombra.

    Per uscire dall’impasse, non è utile ripetere in successione suono e parola, quasi come in “Shining”, quando il protagonista, uno scrittore ormai depredato dalla follia, riempie compulsivamente i fogli con la stessa frase dattiloscritta.

    Il punto è che, anche se si fa uso di termini comuni e concetti apparentemente scontati, permane comunque la difficoltà. Poiché ogni singola parola mai è stata (né, probabilmente, sarà) elaborata a sufficienza, mai compresa appieno. Né unanimemente  condivisa.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Il mito della sorte incombente | Il Nano Morgante

    Il mito della sorte incombente

    GENOVA. 27 AGO. “Sfatare un mito” è  impresa ardua. Il mito, una volta “mito”, tende a rimanere tale. Ed il conseguente obiettivo di “sfatarlo” rischia di essere un obiettivo individuale esorbitante, utopico. Il più delle volte, inutile. Tanto quanto la sua creazione.

    Non di meno, il mito dell’inerranza, cioè dell’infallibilità (in questo caso applicata al quotidiano), dovrebbe essere sfatato per alleggerire l’insormontabile fardello che ostacola le idee e l’agire. Tanto più che, in conforto all’assunto, ogni idea meritoria e lodata azione hanno, nel tempo, sempre comportato innumerevoli errori ed altrettanti tentativi. Ed enfatici (anche se postumi) encomi.

    Confidando quindi nella benevolenza dei posteri,  delineo come invalidante il diffuso mito della sorte incombente. La diffusa appercezione che rimanda ad ogni libero agire un destino inesorabilmente inglorioso, laddove le avversità assumono il ruolo di protagoniste, fautrici impietose e mute di giochi a noi incomprensibili e mai “fortunosi”.

    In verità, nei composti ragionamenti e nelle cifre stilistiche  che ne conseguono, il pensiero umano, pur animato da trascendenze, irradia effetti reali.

    Interpretare quindi la sorte come un’Entità accigliata, inter-ferente e pronta a calare la sua scure sul nostro capo e sulle nostre azioni é una consuetudine incauta, un gemito scaramantico di dubbia efficacia.

    Quest’Epoca lacerata e dissennata sembra sopravvivere in modo dimesso ed artificioso, subire la pressione della sua a-storicità, del suo tendenziale e progressivo disconoscimento della contemporaneità ed utilità della Cultura passata.

    In realtà, rifacendoci alla Storia, nessuna entità malevola scruta l’agire umano, nessuna sorte incombe sul destino dell’uomo se non quella stessa che l’uomo produce e proietta, più o meno inconsapevolmente, su di sé.

    Ciò avvalora la tesi che tutto ciò che ci accade è causale: poiché, nei limiti naturali e temporali che ci pertengono, pur nella complessità degli eventi, la causa è in noi stessi:  “siamo solo noi”, esorcizzando la sorte con le parole di Vasco Rossi.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Torno da mia madre. Commedia gradevolissima sui legami familiari.

    ” Torno da mia madre”; una scena del film con Alexandra Lamy e Josiane Balaskovic

    GENOVA. 25 AGO. In ” Torno da mia madre “, sesto Lungometraggio del regista francese Eric Lavaine, titolo originale “Retour chez ma mère”, per quanto il titolo suggerisca un lungo indugio sul personaggio della figlia, pur molto composito, è la Madre l’autentica protagonista della pellicola, dall’incipit alla chiusa.

    La Madre, che corrisponde al nome di Jacqueline Mazerin, è interpretata da un’avvincente Josiane Balaskovic, eccellente nella sua performance, che esercita davvero il potere di ammaliare lo spettatore, trasportandolo verosimilmente nel film. Il  personaggio di Jacqueline, esprime una donna brillante, solo lievemente spigolosa, con una corposa voglia di vivere, nonostante lo scorrere degli anni.

    In netta contrapposizione con la figlia, Stephanie Mazerin, che ha il volto dell’affermata Alexandra Lamy, architetto di successo che all’improvviso si ritrova stanca ed in parte ripiegata su stessa, avendo perso il prestigioso lavoro a seguito di illeciti di cui lei non è responsabile e sola con un figlio di 6 anni che condivide con l’ex marito e la nuova moglie di quest’ultimo.

    In effetti, Eric Lavaine,  ha dichiarato di voler mostrare attraverso questa commedia dolce-amara, la cosiddetta “generation boomerang”, ossia la nostra generazione che, in questa società post-moderna, rischia troppo spesso d’essere umiliata e svilita dai non Diritti del Mercato e nella quale anche le relazioni sono ormai liquefatte.

    Così nella trama, come ahimè nella vita reale di molti, Stephanie, trovandosi al verde con un bambino, prepara un paio di valige e torna nella casa materna, intrecciando di nuovo un legame in salutare equilibrio con la madre; a ruoli invertiti! In effetti in questa deliziosa commedia, non è la figlia ad ostentare dei segreti, bensì la madre che, vedova, si è ricreata un legame emotivo e marcatamente passionale con l’inquilino del quarto piano, Jean, interpretato da Didier Flamand, relazione che inizialmente si impegna a nascondere.

    Invero vorrebbe annunciarlo in grande stile, in occasione di una cena in presenza anche degli altri due figli, Carole Mazerin, che ha le fattezze di una bella Mathilde Seigner e Nicolas, interpretato da Philippe Lefebvre, i quali fraintendono la sua agitazione per un principio d’Alzheimer, quando la persona più sana della famiglia è proprio la madre, al contrario di tutta la prole, palesemente frustrata.

    Il giorno successivo all’inconcludente reunion, solo frutto di aspre tensioni tra i tre fratelli, la madre confessa non solo la relazione con Jean, ma che in realtà quest’ultimo  rappresenti il suo grande amore da sempre, ancor prima che il loro padre morisse. Dichiarazione tagliente che indurrà i figli a guardare dentro se stessi ed a migliorare le proprie vite, sull’esempio del saldo entusiasmo della madre, donna pratica e romantica al tempo stesso, sempre preda delle ballate nostalgiche di Francis Cabrel, cantautore folk francese, d’origini friulane, la cui musica accompagna alcuni momenti della pellicola.

    Jacqueline tra l’altro, in chiusa del film, risolverà ingegnosamente la compromessa situazione economica della figlia Stephanie. Decisamente un lieto fine che accontenterà i nostalgici di Frank Capra, ma di cui tutti noi, in quest’epoca sgualcita dalla precarietà, abbiamo bisogno.

    Validissime le musiche originali di Fabien Cahen, affermato cantautore francese. Belli gli esterni, girati ad Aix-en- Provence, location che Lavaine ha scelto per l’intensità della Luce del Sud. Un po’statici gli interni, interessanti i primissimi piani sulle pietanze, cucinate dalla madre.

    Da vedere per rasserenarsi!

    Romina De Simone

     

     

     

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  • L’ambiziosa cerchiatura del quadro de Il Nano Morgante

    L’ambiziosa cerchiatura del quadro

    GENOVA. 13 AGO. Si pensi alla realizzazione di un dipinto. E, ancora prima, alla tela vuota che ne costituisce supporto. Al percorso emotivo tra la presumibile incertezza della prima pennellata e la liberatoria stesura dell’ultima. E, infine, si pensi all’opera, che, nel mezzo, via via prende forma.

    Sovviene d’istinto un quesito forse inessenziale, pur tuttavia comprensibile: come, e quando, ci si accorge che un’opera è “conclusa”?  Qual è il fatidico istante che conduce al “naturale equilibrio”, in cui nulla va aggiunto e nulla tolto?

    Di certo, occorre misura, esteriore ed interiore. Cedere alla “lusinga del colore” potrebbe irrimediabilmente compromettere il quadro, l’idea e l’immagine trasposta su tela.

    Ciò vale, secondo limiti e proporzioni, per ogni azione dell’uomo: analoghi presupposti, simili disposizioni dell’animo: l’anelito a trascendere la realtà, i limiti e vincoli invalicabili che la stessa pone alle idee ed alla volontà.

    Limiti e vincoli che Dante sperimenta nella Commedia, quando pone la “quadratura del cerchio” a metafora dell’impossibilità di comprendere l’Entità assoluta, il Divino. Quando volge inspiegabilmente ad altro, in tal disperante tentativo, l’hybris, l’irriverenza sfrontata della volontà superomistica.

    In realtà, nulla è davvero indifferente. Tutto sostanzia. Tutto è manifestazione e costante rielaborazione.

    Fuor e dentro di metafora, acclarata l’impossibilità di “quadrare il cerchio”, aggiriamo l’ostacolo: si tenti, con altrettanta ambizione, di “cerchiare il quadro ”: con l’ultima pennellata, con un impercettibile sfioramento cromatico della tela.

    Impercettibile, forse, alla vista altrui, ma non alla nostra.

    D’altronde, se l’agire dell’uomo si compie e si nutre dell’ idea del sublime, non deve forse egli stesso, proprio per questo motivo, sempre e comunque ambire ad essere il meglio di ciò che può essere?

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Terra Madre 2016. I piccoli a scuola di biodiversità

    TORINO 8 AGO. Se si è stati piccoli prima del 1986, di sicuro non si ha mai usato questa parola, coniata dall’entomologo Edward Wilson proprio in quell’anno. Ma i bambini di oggi, che dovranno esserne custodi negli anni futuri, sanno che cos’è la “biodiversità”?

    Le attività per scuole e famiglie di “Terra Madre Salone del Gusto 2016” a Torino dal 22 al 26 settembre prossimi si pongono l’obiettivo di avvicinare i più piccoli a questo tema perché biodiversità è una parola un po’ difficile, ma il suo significato è semplice: non significa mettere sotto vetro le varietà da preservare, ma agire tutti i giorni per assicurare un futuro rigoglioso al nostro pianeta. I bambini iniziano a farne esperienza fin dalla più tenera età, mangiando frutta e verdura di forme e colori diversi e giocando a riconoscere fiori e foglie degli alberi.

    La varietà delle specie viventi è un argomento che interessa tutti, grandi e piccini, perché riguarda la natura, la vita e il futuro del nostro pianeta. Comune a molti, però, è anche la preoccupazione per la sua scomparsa, per la perdita di specie che continua da decenni indisturbata: Fao, infatti, il 75% delle varietà vegetali è irrimediabilmente perso, come si sta smarrendo il nostro contatto con la

     

    “La curiosità dei bambini è sorprendente: sono pronti a imparare tutto e la natura ha moltissimo da insegnare” – dice Andrea Giaccardi (in foto sotto), contadino all’Orto del Pian Bosco di Fossano (Cn), da anni impegnato nelle attività didattiche di Slow Food. A “Terra Madre Salone del Gusto”, è uno dei protagonisti del workshop “Contadino a chi? Incontriamo i mestieri”, in cui i bambini sono guidati alla scoperta dei segreti di mestieri affascinanti ma spesso bistrattati, che tutti i giorni danno vita a un sistema produttivo sostenibile. “La buona notizia – dice Andrea – è che, rispetto a qualche anno fa,  i bambini sono più attenti al cibo e all’agro-ecologia: se ne parla di più e secondo me non è solo una moda, sono argomenti che entrano nei dialoghi quotidiani e anche i bambini lo sentono e sono coinvolti in questo processo culturale”. Gli alunni dialogheranno con Andrea, con un mastro gelataio, un pescivendolo e un torrefattore, perché la loro curiosità sia stimolata sui mestieri che fanno bene alla terra e tutelano, ognuno a modo proprio, la biodiversità delle specie animali e vegetali del mondo.

    Per tutelarle al meglio è, però, fondamentale conoscerle: “Il giro del mondo in quattro cereali” è il laboratorio ludico-didattico che racconta ai bambini le storie di Mister Mais, Signor Grano, Mukulu Sorgo e Sensei Riso, e quante varietà esistono al mondo di questi quattro cereali. Poiché il piacere del gioco è il mezzo migliore per imparare, il Borgo Medievale sarà teatro un’avvincente caccia al tesoro, con una tappa per ogni cereale: quale posto migliore per nascondere un indizio sul grano se non il forno del Borgo? E l’acqua del fiume Po, cui si affaccia il Castello Medievale, non ricorda una risaia?

     

    Finita la teoria, si passa a una divertente attività in campo: l’incontro didattico-esperienziale “Seminiamo la biodiversità”, realizzato in collaborazione con Arcoiris, coinvolge i bambini nella semina, insegnando loro a fare l’orto per capire come nasce il cibo che mangiamo ogni giorno. L’attività perfetta per insegnare il valore della lentezza, il rispetto dei propri ritmi e di quelli degli altri, e imparare facendo, perché l’esperienza diretta alimenta e rafforza l’apprendimento.

     

    Ma la biodiversità non è l’unico tema che “Terra Madre Salone del Gusto” offre ai bambini e ai ragazzi: si possono scopri gli eventi e le iniziative pensate per i visitatori più giovani, dagli incontri didattici, ai laboratori ludici, alle mostre, fino ai workshop e alle presentazioni.

    Marcello Di Meglio

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  • Se fosse, sarebbe. L’essenziale ricorso alla fantasia.

    Fantasia

    GENOVA.  6 AGO.  Non intendo affatto esimermi dalla realtà. 

    Se mai, esiliarmi nella volenterosa idea di partecipare ad ogni esito, facile o meno facile, scontato o sorprendente, che mi riguarda. In specie, partecipare a quel respiro quotidiano legato a filo doppio al significato, corrente e ricorrente, di esistenza.  

    E perché ciò accada, può essere utile agire sulla leva della fantasia. 

    Un salto carpiato dal trampolino del modo ottativo, attraverso il ponte strallato delle possibilità,  e finalmente raggiungo l’atteso, prepotente, essenziale argomento: i desideri.

    Non a caso, una quota del titolo discende direttamente dal film “Alice in Wonderland”: contesto ideale per trovare fulgidi esempi di desideri e comporre mirabolanti esaudimenti.

    Di certo, sappiamo (o pensiamo di sapere) cosa sono i desideri, visto che tutti, chi più chi meno, ne hanno una scorta da soddisfare.   

    Alcuni sottendono una nostra precisa attitudine, un’ambizione che il pensiero insegue fino in capo al mondo; altri  assumono una forma mediata ed immaginativa, postulando un possibile rimando al desiderio di essere  o, anche, al “desiderio del desiderio dell’altro” (cit. E. Lévinas).

    Siamo esistenze mutevoli, in perenne transizione tra l’amore per il desiderio ed il dovere del possesso. Diciamo pure, per licenza autoconcessa, che qualunque cosa ci rappresenti e qualunque espressione assuma, in questo percorso ad ostacoli, una parte rilevante di desideri dovremo immolarla sull’altare di evidenti impossibilità: quelle che trascinano in luoghi  che scolorano i sentimenti  di cui l’uomo é dipinto e si dipinge.

    A questo punto, può essere utile sintetizzare e rimettere alla riflessione un assioma nichilista ed irriverente: quand’anche l’uomo, tra i più assurdi desideri, tentasse l’esaudimento del poter fare a meno degli altri, comunque sia, di sé stesso non potrebbe fare a meno.

    Orbene, integro la considerazione attingendo al mondo poetico della Szmborska: “pensa quel tanto che serve, non un attimo di più, perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio”.

    Provo così, allontanando ogni dubbio pensiero, ad investire tempo e sentimento nel desiderare “ciò che già ho”.  

    Lo trovo più fantasioso del recriminare senza costrutto, dell’avvoltolarsi tra le infinite congetture su “ciò che sarebbe stato” e su “come poteva essere”. 

    Massimiliano Barbin Bertorelli

     

     

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  • Oggi 238 anni per il Teatro alla Scala di Milano

    Maria Calla al Teatro della Scala

    MILANO. 3 AGO. Oggi si festeggiano i 238 anni della Scala che, non si può negare, se li porta davvero bene! La rappresentazione che inaugurò il più famoso teatro del mondo il 3 agosto 1778 fu L’Europa riconosciuta, dramma musicale composto appositamente per l’occasione da Antonio Salieri.

    Quel giorno era molto atteso da tutti i milanesi che  due anni prima avevano visto bruciare il più importante teatro della città, il Regio Ducal Teatro, che si trovava nel cortile di Palazzo Reale. Per questo, con l’aiuto di 90 famiglie facoltose, fu costruito il nuovo edificio a cui venne dato il nome di Nuovo Regio Ducale Teatro alla Scala.

    La sala a forma di ferro di cavallo prevedeva tremila posti, quattro ordini di palchi, due gallerie e il loggionee divenne modello per i successivi teatri italiani. L’acustica, anche grazie alla volta di legno, è tuttora considerata tra le migliori d’Europa. Alla Scala, in questi duecento anni, sono passati i più importanti maestri e compositori italiani e non solo, da Niccolò Paganini a Gioacchino Rossini, Giuseppe Verdi , Gaetano Donizetti ,Giacomo Puccini . E se guardiamo a tempi più recenti , vi passarono grandi artisti come Maria Callas, Renata Tebaldi, Herbert von Karajan, Igor Stravinskij ,Giorgio Strehler, Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, per non parlare dei grandi danzatori Rudolf Nureyev e Carla Fracci.

    Ora gli artisti che portano alto il nome della Scala sono altri, a cominciare dall’acclamatissimo Roberto Bolle per la danza, ma bisogna anche ricordare che se il teatro alla Scala è diventato un solido punto riferimento della vita culturale italiana, è stato grazie anche a coloro che stanno dietro le quinte, i lavoratori dei laboratori dove si costruiscono scene e costumi , che sono donne e uomini artigiani, la maggior parte dei quali proviene dalla scuola della Fondazione Teatro alla Scala, l’Accademia. Ad oggi sono circa 150 addetti tra falegnami, fabbri, carpentieri, scenografi, tecnici di scenografia, scultori, sarte, costumiste.

    Buona anniversario a tutte le maestranze dunque!

    FRANCESCA CAMPONERO

    Anche Google con un suo doodle dedicato ricorda tale evento.

    https://g.co/doodle/rz5ssk

    Il doodle per il compleanno della Scala di Milano

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  • Slow Food-Terra Madre. Torino e Piemonte mobilitati per ospitare delegati. Petrini Ambasciatore FAO

    TORINO 31 LUG. Un appuntamento che si rinnova dal 2004 e che mobilita centinaia di famiglie in tutta la regione: è l’ospitalità che i piemontesi riservano ai delegati di “Terra Madre” durante l’evento targato Slow Food che anima Torino dal 22 al 26 settembre prossimi. Cinque giorni intensi durante i quali agricoltori, pastori, pescatori, produttori, cuochi, educatori provenienti da ogni parte del mondo condividono con i loro ospiti piccoli gesti quotidiani, usi e tradizioni, scambiando saperi e tessendo amicizie.

    Saranno 5000 i delegati accolti in Piemonte. Oltre al capoluogo piemontese, infatti, sono circa 50 le Città di Terra Madre in tutta la regione a essersi mobilitate per offrire posti letto. Ai primi di giugno erano già più di 700 le famiglie ad aver garantito la loro disponibilità: un risultato significativo che supera le aspettative e conferma il sostegno dei piemontesi alla rete.

    A Torino si calcolavano due mesi fa più di 80 adesioni ma l’obiettivo è raggiungere e superare le 300 sistemazioni e il processo di coinvolgimento è proseguito. Oltre alle amministrazioni pubbliche e le associazioni territoriali, anche la Caritas, le Diocesi e l’Università degli Studi di Torino si sono mosse con appelli diretti ai torinesi, invitando ad aprire le porte di casa ai numerosi esponenti delle comunità del cibo in arrivo nel capoluogo piemontese. Importante anche il sostegno delle associazioni di categoria: Coldiretti, che è un partner fondamentale per la riuscita dell’accoglienza sin dalla prima edizione (nel 2004), ha confermato anche quest’anno la propria disponibilità a ospitare circa 300 delegati; Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) nel 2016 per la prima volta partecipa all’accoglienza mettendo a disposizione 200 posti letto.

    “Accogliere i delegati significa aprire le porte al mondo, vivere un’esperienza unica di condivisione e scambio, stringendo legami che dureranno ben oltre l’evento», spiega Stefano Colmo, Segretario Generale della Fondazione Terra Madre. “L’appello che rivolgiamo a tutti è di cogliere questa opportunità: avete ancora tempo per dare ospitalità a chi arriverà a Torino dai cinque continenti e aiutarci a farli sentire a casa!”. Si ringrazia anche Seag/Bus Company che facilita la mobilità dei delegati durante l’evento.

    È ancora possibile dare la propria disponibilità a ospitare un delegato di Terra Madre mandando una mail a [email protected] (per Torino) oppure a [email protected] (se fuori Torino).

     

    Intanto Carlo Petrini, fondatore e Presidente di Slow Food, organizzazione che da anni si adopera per la salvaguardia della cultura e delle tradizioni culinarie locali, e per assicurare che tutti abbiano accesso ad un cibo buono, pulito ed equo, è stato a fine maggio nominato Ambasciatore Speciale della FAO in Europa per “Fame Zero”. Il Direttore Generale della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura con sede a Roma,  José Graziano da Silva )in foto) ha lodato il contributo di Petrini nell’accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica europea sull’importanza di migliorare l’agricoltura e di assicurare catene di approvvigionamento sostenibili.

    “Questo include le numerose iniziative che hanno messo in evidenza l’importanza di reintrodurre colture locali che i piccoli proprietari terrieri e i contadini di sussistenza possono produrre per il proprio consumo e vendere al mercato come mezzo per raggiungere la sicurezza alimentare” ha affermato Graziano da Silva. “La nomina di Petrini e il suo coinvolgimento in attività di sensibilizzazione della FAO manderà un forte segnale alla comunità internazionale che possiamo veramente raggiungere un mondo senza fame” – ha continuato il Direttore Generarle della FAO. Questo contribuirà a costruire la Generazione Fame Zero e a porre fine alla fame entro il 2030, ha affermato.

     

    Accettando la nomina, Petrini ha affermato: “La vergogna della fame…può e deve essere cancellata entro il tempo della nostra generazione; l’impegno in questo senso deve ricevere priorità politica in tutti i fora internazionali, oltre che a livello nazionale e di società civile.”

    Nel ruolo di Ambasciatore Speciale per “Fame Zero”, Petrini contribuirà a migliorare la comprensione della visione della FAO per un mondo libero da fame e dalla malnutrizione nel quale il cibo e l’agricoltura contribuiscono a migliorare i mezzi di sussistenza, soprattutto per i più poveri. Le attività prevedono la partecipazione ad eventi di alto livello e incontri pubblici, oltre al contributo in pubblicazioni chiave, visite a progetti sul campo e attività di raccolta fondi.
    Slow Food è un’organizzazione non-profit che lavora per promuovere cibo di qualità, prodotto e distribuito in maniera sostenibile per l’ambiente. Conta oltre 100 mila membri a livello globale ed è attiva in 160 Paesi.

     

    Grazie ad un accordo del 2013, la FAO e Slow Food hanno continuato a cooperare  per promuovere sistemi agro- alimentari inclusivi e hanno partecipato congiuntamente ad campagne promozionali e iniziative globali, tra le quali l’Anno Internazionale dei Legumi 2016, e l’Anno Intenzionale dell’Agricoltura Familiare 2014.

    Marcello Di Meglio.

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  • Tre nomine importanti al San Carlo di Napoli

    Giuseppe Picone al San Carlo di Napoli

    NAPOLI. 30 LUG. Ieri finalmente fumata bianca per  le nomine di tre importanti cariche all’interno di uno dei teatri più importanti d’Italia il San Carlo di Napoli. E’ stato infatti lungo ed impegnativo il percorso che ha portato alla nomina del nuovo Direttore Musicale del Teatro, per identificare quella figura non solo idonea a guidare quotidianamente le compagini artistiche del Teatro, ma anche a ribadire e ancor più valorizzare l’eccellenza di uno dei teatri  che per storia e tradizione, si è sempre misurato  guardando al futuro.

    Su proposta della Sovrintendente Rosanna Purchia e del Direttore Artistico Paolo Pinamonti, il CDI ha dunque  accolto la scelta di due direttori assolutamente complementari tra loro, per formazione, repertorio, vivacità intellettuale, dialogo generazionale: Zubin Mehta (classe 1936), Direttore Musicale Onorario, la cui fama e i successi internazionali  non ha bisogno di presentazioni  e  Juraj Valčuha (classe 1976), Direttore Musicale Principale, appena quarantenne, definito dalla stampa ‘talento della lirica internazionale’, che esce da sette felici anni alla guida dell’Orchestra della RAI. Il Maestro Juraj Valčuha arriverà oggi dal Colorado, reduce da un’importante tournée con la New Philharmonic, per stare in Teatro e assistere alla recita di Aida.

    Altrettanto tempo e attenzione ha richiesto anche la nomina del nuovo Direttore del Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo, che ha visto impegnata  la commissione composta da Anna Razzi, Mauricio Weinrot e Eric Vu-An. E  dopo aver preso in esame una rosa di candidati la scelta è ricaduta sul nome di un talento italiano, napoletano per nascita e formazione: Giuseppe Picone (classe 1976),  affermata star internazionale, ballerino dell’English National Ballet e American Ballet di New York, diplomato per altro proprio alla Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo. Una scelta accolta a pieno dall’intero CdI del teatro.

    Auguriamo ai nuovi direttori buon lavoro!

    FRANCESCA CAMPONERO

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