Categoria: Cultura Italia

  • A Napoli si rievoca la storia del giocattolo con Coppélia

    A Napoli la storia del giocattolo

    NAPOLI. 20 MAR. Sabato 26 marzo nel foyer del Teatro San Carlo di Napoli vi sarà l’inaugurazione della mostra Il Teatro delle Bambole, un’esposizione a rievocare la storia del giocattolo. Questo in occasione della messa in scena del balletto Coppélia (31 marzo – 12 aprile 2016) per la coreografia di Roland Petit, ripresa con la supervisione di Luigi Bonino, con il Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo e l’Orchestra del Massimo napoletano diretta da David Garforth.

    Coppélia, racconta la magica favola della bambola meccanica creata da uno scienziato, il Dottor Coppélius, a immagine e somiglianza di Swanilda, la ragazza di cui egli è segretamente innamorato. Ma Swanilda è invece fidanzata con Frantz, e sembra non accorgersi dell’amore che l’inventore prova per lei.

    Il percorso espositivo della mostra è dedicato in particolare alla collezione di bambole del Museo del Giocattolo dell’Università Suor Orsola Benincasa e vede coinvolti il Teatro di San Carlo, l’Università Suor Orsola Benincasa, l’Accademia delle Belle Arti di Napoli e la Soprintendenza BEAP Napoli – Palazzo Reale. A curare il percorso  è Lucio Turchetta, con la collaborazione del Prof.Vincenzo Capuano, coadiuvati dagli allievi dell’Accademia.

    Alla mostra, visitabile tutti i giorni, secondo gli orari delle visite guidate, dal 26 marzo, si aggiungono anche incontri di approfondimento ed iniziative speciali dedicate agli studenti.

    Il vernissage è aperto alla cittadinanza di Napoli.

    La vista alla mostra è abbinata allo spettacolo o alla visita del Teatro. I biglietti si acquistano attraverso i consueti canali di vendita.

    FRANCESCA CAMPONERO

    Info e prenotazioni [email protected] oppure 0817972468.

    Leggi l’articolo originale: A Napoli si rievoca la storia del giocattolo con Coppélia

  • Complicare è semplice. Illogica del quotidiano

    Complicare è semplice. Illogica del quotidiano

    GENOVA. 19 MAR. E’  illimitata la capacità ed inusitata la frequenza con le quali l’uomo riesce a complicarsi la vita.

    Tale aspetto lo distanzia progressivamente dal concetto di esperienza intesa come strumento utile a trarre beneficio potenziale da ogni altra precedente situazione, secondo un metodo adattivo ampiamente collaudato, fin dalle origini, da ogni essere vivente.

    Nonostante ciò, egli pare affrontare da neòfita le cose e le vicende ordinarie, implicando una tal gravità e malcelato timore da appesantire, oltre sé stesso, anche chi, a turno, ne segue le sorti.

    Impresa ancor più colossale ed inarrivabile,  riesce persino  a complicare  le cose più “semplici”:  quelle che, se anche meritassero la  nostra “occupazione”,  no di certo la nostra “pre-occupazione”.

    A questo punto del discorso, per meglio chiarire il sintetico e provocatorio assunto, è opportuno esprimere una possibile connotazione di “semplice”, attribuendone il significato a tutto ciò che caratterizza e promana dalla originaria natura umana.

    Bere è una cosa semplice (disponendo d’acqua), “più facile ancora è respirare” canta Lucio Battisti.  E, nella categoria delle cose semplici, a pieno titolo rientrano il confronto con i propri simili, dialogare, esporre i propri pensieri, esprimere sentimenti, qualità essenziale e miracolosa della nostra esistenza.  Inoltre, su tali basi, assegnare adeguate priorità.

    In questa prospettiva,  la priorità assegnata ad una comunicazione latitante,  quantomeno alterna e diffidente o, ancor peggio, tattica e strumentale,  é causa certa di complicanza e di incrinature nei rapporti sociali di qualsivoglia tipo.

    Tatticismi indotti, forse, da eccessiva riverenza o timore verso l’altrui “giudizio”,  da un’innata attenzione nel soppesare ogni singola parola, da un’ avara inclinazione emotiva  tale da escludere gli “altri” piuttosto che includerli,  dal sottrarre piuttosto che aggiungere, dall’omettere  o mistificare piuttosto che rivelare.

    Di certo “mettere in comune”  diviene  un concetto denso di ostacoli, complesso e “rischioso”. Un percorso condiviso che tuttavia assolve alla funzione di inquadramento delle singole questioni, semplificandone la portata ed anticipandone l’eventuale risoluzione.

    A tal proposito, può aiutare a circoscriverne l’ambito la seguente riflessione di J. Lec:  “il peso di un problema va calcolato al lordo, noi compresi”.

    Introdurre troppe variabili in un’equazione  confonde ed allontana la sempre possibile soluzione. Non di meno, ne accresce la difficoltà.  E costituirci noi stessi ad impedimento  diviene illogico, oltreché nocivo.

    A questo punto, ipotizzando una timida ed umbratile veridicità dell’assunto, azzardo una conclusiva proposta: non è il caso di considerare un vero e proprio “reato” tale dannosa propensione a complicare? Non è il caso di prevedere una sostanziosa ammenda per un comportamento così inutilmente inglorioso e civicamente logorante?

    Massimiliano Barbin Bertorelli

    Leggi l’articolo originale: Complicare è semplice. Illogica del quotidiano

  • Fuocoammare, docufilm su Lampedusa, vincitore 66° Berlinale

    Una scena di ” Fuocoammare “, Docufilm di Gianfranco Rosi, vincitore 66°Berlinale

    GENOVA. 14. MAR. Fuocoammare, del regista Gianfranco Rosi, Docufilm che focalizza la vita degli abitanti di Lampedusa e degli sbarchi dei migranti, ha recentemente vinto la 66° Berlinale (12 / 21 feb.2016), nella Germania che proprio in queste ore abbandona la Merkel, scegliendo ahimè la Destra anti-rifugiati di Alternative fur Deutschland, ( AfD ).

    Una pellicola, capolavoro nel suo genere, che resterà come un pugno allo stomaco e che è difficile che non ci tiri giù dalle viscere lacrime di compartecipazione al destino sgualcito di milioni di esseri umani, costretti a seguire la via del mare che ” una strada non è, ma è solo da oltrepassare, dal momento che nella vita è rischioso non rischiare, perchè la vita è rischio “, secondo le parole di una canzone rap, improvvisata da un gruppo di richiedenti asilo nel CIE di Lampedusa, ritratti dal Maestro Rosi.

    La poetica cinematografica di Gianfranco Rosi (1964, Asmara / Eritrea; cittadino italiano e statunitense) è tra le migliori del nostro paese. Per chi non l’avesse ancora visto, non si tratta del tipico Docufilm, eccessivamente asciutto, che ci si potrebbe aspettare data la tematica affrontata. Rosi, come già accennato in ” Sacro GRA “, non scinde mai il reale da una sfumatura visionaria. Gli occhi esperti di Cinema, noteranno l’ottimo lavoro di post produzione con l’applicazione di Visual Effects che conferisce un accenno onirico ad alcune scene, come quelle in cui il mare è d’un blu particolarmente profondo ed i volti intensi dei migranti sembrano straripare dalla pellicola. A partire chiaramente da una Fotografia sublime dello stesso Rosi. In alcune riprese esterne, come quelle che ritraggono la piana, gli alberi di ulivo, il Maestro si accosta per un istante allo stile de ” Il Vento ci porterà con sè “ di Abbas Kiarostami.

    L’idea, sorta nella mente di Carla Cattani, non è per nulla retorica, ma si propone semplicemente di raccontare la vita dei residenti di Lampedusa. Ed in effetti tutti gli attori interpretano se stessi ed il proprio personale rapporto con l’isola e la rigogliosa vegetazione che la caratterizza, filtrando la drammatica situazione dei migranti che non sono avvertiti come una minaccia, ma come esseri umani segnati da una brutta vita. Perché ” la vita notte e giorno cielo e mare è brutta”, come dice il papà ” marinaio” a Samuele Pucillo, il ragazzino protagonista del Docufilm, che è un autentico genuino ragazzino che si diletta in giochi semplici, come la fionda e guarda il mondo attraverso un occhio pigro, pigro come la ” vista ” dell’Europa che ha ormai smarrito quei parametri di Diritto su cui si era fondata.

    La nonna di Samuele, anziana signora dalle dita delle mani grosse e pesanti, gli racconta di quando con il nonno trascorreva le giornate al mare, ma mai di notte, perchè di notte era pericoloso a causa delle navi militari che sparavano nel mare i razzi. Ed il mare diventava rosso come un fuoco, “perchè era tempo di guerra”. Una scena questa che sta ad indicare che le epoche non sono cambiate, che sussiste ancora il Tempo di Guerra, in fondo.

    Ma il film è soprattutto all’impegno di Pietro Bartolo che si ispira. Quest’ultimo è il medico che dirige il poliambulatorio di Lampedusa e che da anni esegue la prima visita ad ogni migrante che sbarchi nell’isola. In “Fuocoammare” chiaramente interpreta se stesso e stupisce l’umanità che lo contraddistingue. “E’ dovere di ogni uomo che sia un uomo, aiutare queste persone“, e’una delle frasi che pronuncia con forza durante il film e che, dico io, dovrebbe tuonare nell’opinione di ciascuno di noi.

    Sui titoli di coda, qualcuno dal fondo della sala cinematografica di Genova in cui l’ho visionato, mormora seccato che non è un film per “svagarsi”, come se i destini deturpati di milioni di persone in fuga, fossero oggetto di di distrazione.

    Ci uniamo al ringraziamento della Produzione Italiana nei confronti della Motovedetta CP 287 della Capitaneria di Porto di Venezia, usualmente impiegata a Lampedusa e della Guardia Costiera di Venezia. Bravo, Gianfranco Rosi. La tua testimonianza filmica resterà indelebile.

    Romina De Simone

     

     

     

    Leggi l’articolo originale: Fuocoammare, docufilm su Lampedusa, vincitore 66° Berlinale

  • Il marchio di fabbrica dell’ imperfezione

    Frida Khalo e l’ imperfezione

    GENOVA. 12 MAR. La definizione di completezza può assumere, nella comune accezione e nella vulgata, il significato di perfezione.

    Concetto applicabile, quando riferito alla Natura. Decisamente inappropriato e sconsigliabile, quando riferito all’uomo.

    In effetti, nel limitante, pur lecito uso del termine, tutto ciò che,  estensivamente, si identifica nel concetto di “completezza”, ipso facto, non necessita di ulteriori “aggiunte”.

    Partendo dal tranciante preambolo, si conviene di non attribuire all’uomo tale grado evolutivo. Al contrario, identificarlo in un’esistenza subordinata, bisognosa e limitata a cose fungibili, materiali. Smaniosa di “addizioni” in progress.

    Ciò si declina, nell’eccezionalità individuale, accettando coscientemente tale limite; nell’ordinarietà massificata, negandone l’evidenza, con baggiana tracotanza e prevedibile cipiglio.

    Comunque sia, la sostanza invariabilmente non muta: l’uomo resta un essere incompleto,  giacché “esiste solo all’interno di una data cultura ed il suo pensiero è dipendente da simboli che condivide con altri” (cit. C.Geertz).

    Ci si tranquillizzi: la completezza prescinde dalla nostra od altrui volontà. E’ entità trascendente, superomistica. Per altro verso, il suo contrario, l’incompletezza, è condizione originaria, pre-determinata.

    Tale condizione è il nostro marchio di fabbrica, riconoscendo quanto sia “necessaria l’imperfezione per essere perfetti” (cit. G.Pascoli). E, ancora,  circostanziandone il limite, che esso “mi definisce come essere umano ma più ancora come io irripetibile, esclusivo” (cit. F. Sciacca)

    Procedendo, il concetto di perfezione sostanzia, subliminale e irriverente, quello di infinità.

    Inutile, quindi, sempre accelerare. “Sedens ago” (agisco stando seduto):  adattiamo, per quanto possibile, alla nostra vita la frase che riecheggia nello stemma araldico dell’antica famiglia dei Fieschi.

    Non è infatti il tempo, ampiamente sufficiente, di cui disponiamo, il vero ostacolo, l’impedimento a realizzare la nostra irriferibile ambizione.  Massimiliano Barbin Bertorelli

    Leggi l’articolo originale: Il marchio di fabbrica dell’ imperfezione

  • Arena di Verona, il Comune lancia il bando

    Un bando internazionale per la copertura dell’ Arena di Verona

    VERONA. 10 MAR. E’ stato approvato il bando di gara per il Concorso internazionale di idee per la copertura dell’ Arena di Verona. Il bando sarà pubblicato entro il 18 marzo, con scadenza il  9 settembre, sul sito internet del Comune; seguirà la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale italiana ed europea. Sarà inoltre trasmesso in versione italiana ed inglese, per la più opportuna divulgazione, agli Ordini degli Ingegneri e degli Architetti della provincia di Verona, oltre che agli Ordini nazionali, al servizio bandi di progettazione “Europaconcorsi” e ad ulteriori siti di associazioni professionali di ingegneri e architetti in Italia e nel mondo.

    Il Concorso di idee a livello internazionale per individuare il migliore progetto di copertura del grande anfiteatro romano è rivolto ad architetti e ingegneri, anche in raggruppamenti comprendenti consulenti e specialisti. Il Concorso è finanziato dal Gruppo Calzedonia dell’imprenditore Sandro Veronesi, che ha messo a disposizione per l’operazione 100 mila euro: 70 mila sono destinati ai progetti selezionati, 30 mila sono stanziati per i lavori della giuria, che dovrà essere di altissimo profilo.

    Al progetto vincitore saranno assegnati 40 mila euro, 20 mila al secondo classificato, 10 mila al terzo.

    “Ringrazio il Gruppo Calzedonia per la sensibilità dimostrata nei confronti della città e del suo più importante monumento” commenta il Sindaco Flavio Tosi: “l’Arena è una realtà storico-architettonica con specifica fruizione culturale, unica nel suo genere a livello mondiale – continua il Sindaco – che esercita inoltre un ruolo assolutamente fondamentale dal punto di vista socio-economico per l’intera vita cittadina. Attraverso il Concorso, quindi, l’Amministrazione comunale vuole vedere approfonditi, in una soluzione di equilibrata coesistenza e rispetto del monumento, il tema del perfezionamento della fruizione del manufatto quale luogo di spettacolo ed il contestuale miglioramento della salvaguardia e conservazione delle strutture antiche. L’idea, nelle sue linee generali, è stata illustrata nei mesi scorsi anche al Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini – conclude Tosi – che si è detto disponibile a valutare senza preclusioni progetti di qualità”.

    Le proposte, dovranno garantire il miglioramento della fruibilità dell’anfiteatro per le attività di spettacolo, con l’ideazione di una struttura  di copertura apribile, la cui installazione dovrà avere caratteri di totale reversibilità. L’obiettivo dell’Amministrazione comunale di Verona, infatti, oltre a salvaguardare la prestigiosa rassegna lirica estiva dalle bizze del maltempo, è quello di migliorare lo stato di conservazione delle diverse componenti architettoniche dell’edificio – in particolare  la cavea, i sottostanti voltati, gli arcovoli e i deambulatori –  la cui principale criticità è rappresentata dagli effetti di dilavamento e disgregazione materica prodotti dalle acque piovane.

    FRANCESCA CAMPONERO

    Leggi l’articolo originale: Arena di Verona, il Comune lancia il bando

  • Francesca Camponero scriverà un libro su Giuseppe Picone

    Giuseppe Picone

    GENOVA. 10 MAR. “L’incontro tra me e Giuseppe a Maratea  è stato fatale – dice la giornalista Francesca Camponero – E’ stato piacevolissimo avere modo di conoscere un’etoile come lui e rendersi conto che la sua bellezza non era solo nella sua danza, ma anche dentro il suo animo, così semplice e pulito da affascinare tutti, non solo gli amanti del balletto” .

    E così dopo quell’ incontro avvenuto nell’ambito di una manifestazione di danza che si svolgeva il luglio scorso nella splendida cittadina a picco sul mare in Basilicata e dove per motivi diversi erano stati invitati ambedue, è nata una stima reciproca che in occasione del 40esimo compleanno dell’artista ha fatto venire in mente alla giornalista di scrivere un bel libro su di lui.

    “Ho proposto questa idea a Giuseppe che mi ha confessato che da 3 anni pensava alla stessa cosa. Del resto 40 anni sono un bel traguardo nella vita. Diciamo che non si è più giovanissimi, ma in compenso si è raggiunta quella consapevolezza che solo la maturità sa dare e che porta ognuno di noi a cominciare a riflettere su quanto si è fatto e su quanto ancora si potrebbe fare. Raccontarsi vuol dire anche ricordare a sé stessi i passaggi del nostra vita belli o brutti che siano stati, ma che hanno tutti contribuito alla nostra formazione e come nel caso di Giuseppe anche al suo successo”.

    Le abbiamo chiesto che taglio avrà il libro, se una semplice biografia corredata di foto o altro. La Camponero ci ha risposto sorridendo: ”No, no, niente di noioso o didascalico. Il libro racconterà la vita di Giuseppe, certo, ma come se fosse un romanzo o un film, pieno di aneddoti, episodi spiritosi, inconsueti, stati d’animo, gioie e dolori, insomma tutto ciò che vive ogni persona. Ricordiamoci che anche i più grandi artisti sono persone, uomini o donne come noi, e al pubblico piace rispecchiarsi in loro”.

    Giuseppe Picone in questo momento è impegnatissimo con la nuova coreografia del balletto Romeo e Giulietta che debutterà al Teatro Municipale di Piacenza l’8 maggio prossimo, e vorrebbe che il suo libro uscisse per Natale quando debutterà invece col suo Schiaccianoci al Massimo Biondo di Palermo (dal 21 al 28 dicembre 2016 , allestimento del Teatro San Carlo di Napoli).

    “I tempi dell’editoria li conosciamo tutti,ma speriamo di fare questo regalo ai fans di Giuseppe, che sono davvero tanti” ha detto la giornalista genovese.

    La redazione

    Leggi l’articolo originale: Francesca Camponero scriverà un libro su Giuseppe Picone

  • La simbolica scelta del protagonismo

    Omar Sharif, protagonista

    GENOVA. 5 MAR. Non è mai scontato il buon fine della volontà. Tuttavia, è lecita l’aspirazione dell’uomo, nel suo quotidiano esercizio, non solo di partecipare, bensì di essere il protagonista della propria vita (per paradosso, più facile esserlo di quella altrui).

    Altrettanto comprensibile è l’idea di insignirsi di un sigillo di autenticità ed originalità, a rendere inconfondibile ed inconfrontabile la presenza.

    Malgrado ciò, non ci si senta offesi, se alcuni, pur senza titolo, ci attribuissero conformismo:  sono entrambe realtà, parlare senza titolo e seguire un cliché, diffuse e datate quanto l’uomo.

    Tali realtà, in modi differenti, imprimono una visione riconducibile al gruppo ed aggregata al simbolo. Parimenti, anche per pura casualità, esse ci consentiranno di tagliare, comunque vadano le cose, qualche traguardo. E, dato imperscrutabile, ciò compenserà parte dei nostri sforzi.

    L’idea e l’ideale di non cadere nello stereotipo, nel gorgo del luogo comune, il timore di soggiacere ai tanti condizionamenti cui siamo esposti, rappresentano comunque una testimonianza presente, pertinente e, talvolta, disperata.

    Essi attribuiscono plusvalore al discostarsi dalla “logica di massa”, che talvolta assume, però, manifestazioni di artificiosa stravaganza e di pseudo-contravvenienza alle regole.

    Ogni fenomeno rientra comunque a pieno titolo, e ben si concilia, nella cultura del proprio tempo e nella polisemia del termine individuo.

    D’altro canto, siamo tanti su questo microscopico pianeta per non sorprenderci di assomigliarci, a turno. E per non ripercorrere, anche inconsapevolmente, vettori di pensiero già consolidati e precostituiti.

    Purchessia, tale assieme non esclude a priori la libera espressione del proprio sé: non è infatti la specie, non le regole, non l’appartenenza ad impedire l’originale deflusso dei pensieri e l’esclusività degli effetti.

    Tutto sommato, in via generale, purtroppo o per fortuna, ben poco innoviamo.  Esponiamo ed attingiamo a simboli resuscitati.

    Spesso, neppure scelti da noi. Come, con evidenza, il nome di battesimo.

     Massimiliano Barbin Bertorelli

    Leggi l’articolo originale: La simbolica scelta del protagonismo

  • Il nome di Dio è Misericordia, il libro di Papa Francesco

    Il libro di Papa Francesco

    ROMA. 27 FEB. E’ stata Marina Berlusconi, presidente del Gruppo Mondadori, a consegnare a Papa Francesco a Casa Santa Marta la prima copia dell’edizione italiana del libro-intervista del Santo Padre ’ Il nome di Dio è Misericordia ‘. Una conversazione con Andrea Tornielli, edito da Piemme, assieme ad alcuni esemplari delle principali edizioni del volume, che è stato lanciato in contemporanea in 86 Paesi nel mondo.

    All’incontro erano presenti, oltre al giornalista Andrea Tornielli, Ernesto Mauri, amministratore delegato del Gruppo Mondadori, Enrico Selva Coddè, amministratore delegato di Mondadori Libri, e altri rappresentanti di Mondadori e Piemme. Insieme a loro hanno presenziato Monsignor Giuseppe Costa (direttore della Libreria Editrice Vaticana), Zhang Agostino Jianquing (detenuto del carcere di Padova che nella aprile del 2015 ha ricevuto i sacramenti del battesimo, della comunione e della cresima) e Roberto Benigni, che è intervenuto alla presentazione del libro all’Istituto Patristico Augustinianum; presenti anche il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, e Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana.

    Per la prima volta in un volume Francesco si rivolge a ogni uomo e donna del pianeta in un dialogo semplice, intimo e diretto. Il Papa affronta il tema della misericordia, così centrale nel suo insegnamento e nella sua esperienza personale di uomo, di sacerdote e di pastore. Questo libro è la sintesi del suo magistero e del suo pontificato. Il Santo Padre ha voluto vergare personalmente le copertine delle edizioni in lingua italiana, inglese, francese, tedesca, spagnola e portoghese.

    Leggi l’articolo originale: Il nome di Dio è Misericordia, il libro di Papa Francesco

  • E’ morto lo scrittore saggista e filosofo Umberto Eco

    E’ morto Umberto Eco

    MILANO. 20 FEB. Lo scrittore, saggista e filosofo Umberto Eco è morto ieri, alle 22:30, nella sua abitazione di Milano per un tumore che lo aveva colpito due anni prima; Eco era nato ad Alessandria il 5 gennaio del 1932.

    Tra i suoi maggiori successi letterari ‘Il nome della rosa’ del 1980, che ispirò il film di Jean-Jacques Annaud  e ‘Il pendolo di Foucault‘ (1988).

    Il suo ultimo libro critica al giornalismo, ?Numero Zero’ è stato pubblicato lo scorso anno da Bompiani.

    Oltre a romanzi di successo, nella sua lunga carriera Eco è stato autore di numerosi saggi di semiotica, estetica medievale, linguistica e filosofia.

    Nel 1988 fondò il Dipartimento della Comunicazione dell’Università di San Marino.

    Dal 2008 era professore emerito e presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici dell’Università di Bologna.

    Nel corso degli anni ha insegnato anche in varie università straniere tra cui UC-San Diego, New York University, Columbia University, Yale, Collège de France, École Normale Supérieure. Nell’ottobre 2007 si è ritirato dall’insegnamento per limiti di età.

    Dal 12 novembre 2010 Umberto Eco era socio dell’Accademia dei Lincei, per la classe di Scienze Morali, Storiche e Filosofiche.

    Tantissime le sue collaborazione con i media, da ricordare che collaborò, nel 1955, alla fondazione del settimanale L’espresso. Tenne altre collaborazioni con i giornali Il Giorno, La Stampa, Corriere della Sera, la Repubblica, Il Manifesto e a innumerevoli riviste internazionali specializzate, tra cui Semiotica, Poetics Today, Degrès, Structuralist Review, Text, Communications, Problemi dell’informazione, Word & Images, o riviste letterarie e di dibattito culturale quali Quindici, Il Verri, Alfabeta, Il cavallo di Troia ed altre.

    Internet: www.umbertoeco.it

    Leggi l’articolo originale: E’ morto lo scrittore saggista e filosofo Umberto Eco

  • La sindrome da “ app ” compulsiva sul cellulare

    La sindrome da app sul cellulare

    GENOVA. 13 FEB. L’interessante commento di F. Zaffarano (Il Secolo XIX) del 4 febbraio us non mi ha colto alla sprovvista. Anzi, convalida un’evidenza: non c’è luogo, dal bar all’autobus, dalle sale d’aspetto al salotto di casa, che non preveda, e veda, gli utenti-avventori  scorrere senza tregua la tastiera touch del proprio cellulare.

    Infatti, sia intenti a giocare, sia a profondere “mi piace” in qualche social, l’immanenza del mezzo tecnologico s’impone con la sua stessa presenza: ben serrato tra le mani, in attesa di inter-agire col mondo.

    Fenomeno contemporaneo da cui pochi, molto pochi, riescono a sottrarsi. Flagello espressivo di cui pochi, a mio avviso, comprendono la natura.

    Conseguenza immediata del fenomeno: scriversi tanto e parlarsi poco.

    Ma se la questione posta s’imponesse per significato letterale, sarebbe, tutto sommato, una buona cosa: scrivere è sempre un ottimo esercizio che, tra l’altro, ben dispone alla lettura: ora la memoria va ai preziosi e colti carteggi di pensatori e studiosi, nella storia presente e passata.

    In questo caso, invece, il significato di “scrivere” va inteso con tutt’altro tenore: digitazioni brevi e contratte, sigle ed acronimi conditi dalle più svariate “faccine”, codificazioni che trovano in “whatsapp” (l’ho scritto correttamente?) ideale sfogo, o per meglio dire, gratuito ristoro.

    Gli utenti di questa “app”, che ha ormai soppiantato i vecchi “sms”, pare siano circa 1 miliardo al mese. Immaginiamo una inimmaginabile immensità di persone, distribuite in ogni parte del mondo che smanetta, scorre le dita sul display; che ne digita, compulsiva, i tasti. Estraniata dal mondo circostante. Estasiata dal proprio.

    D’altronde, lo abbiamo ben appreso anche dalle Neuroscienze: quando  dedichiamo attenzione ad una cosa, essa assorbe ed indirizza univocamente le nostre capacità.

    Osservare la situazione, se non fosse drammatica, sarebbe un piacevole diversivo. Ma com’é possibile trovare diletto in tale sommessa e comune condizione?  Quando innanzi si prospetta un panorama umano, pur globalizzato, tuttavia reclinato e “destinato” irreversibilmente all’autoisolamento interattivo ed al declino intellettivo?

    Si può forse scherzare o scommettere su una condizione che costituisce un’ipoteca sul presente e sul futuro di tutti?

    Massimiliano Barbin Bertorelli

    Leggi l’articolo originale: La sindrome da “ app ” compulsiva sul cellulare