Categoria: Cultura Italia

  • L’incompresa relazione tra illusione & verità – Il Nano Morgante

    L’illusione & la verità

    GENOVA. 27 GIU. E’ tragico posporre i rapporti affettivi ad estemporanee, consumistiche, personali esigenze. Tragico ricondurli a valutazioni costi-benefici, a parametrazioni pseudoaziendali.

    Tragico assistere al logoramento, al sensibile scadimento, alla fragilizzazione di rapporti interpersonali sempre meno improntati alla solidarietà, alla sincerità; sempre più connotati da una tepida formalità, da una forma di distratta indipendenza che, adoperando la rima, molto sa di indifferenza.

    Ed anche se, nel comune parlare e sentire, la presenza delle “dotazioni affettive di base” si esprime come un dato scontato, essa fortemente latita nei singoli comportamenti.

    Non deve sorprendere quanto la carenza di dialogo acuisca nel tempo la distanza tra le persone; quanto un qualunque rapporto sbiadisca di significato, scada nel vacuo, smotti nella pigra assuefazione, si accomodi nell’ alibi della tranquillità: una “espropriazione sentimentale”  ragionevolmente irrecuperabile.

    Né deve sorprendere che tale labilità venga progressivamente lesionata ed alterata dal trascorrere del tempo condiviso. E, proprio in relazione al suo trascorrere, le persone possono apparirci mutate, pur permanendo, di fatto, sempre uguali a sé stesse.

    E’ ingenuo ricomprendere e ricondurre il fatto unicamente alla categoria assoluta dell’ovvio, poiché non è tanto “ovvio”, quanto piuttosto “vero”, che ognuno irrimediabilmente permanga nella propria condizione originaria, vieppiù progressivamente aggravata, appesantita, nel tempo, da un fardello disordinato e disorganico di pensieri.

    Questa orbita interpretativa constata una netta e vicendevole contrapposizione tra 2 feticci concettuali: l’ “ovvio” in cui vogliamo credere ed a cui tanto dedichiamo in tempo ed emozioni; ed il “vero” col quale dobbiamo quotidianamente confrontarci, attraverso il quale ogni cosa va periodicamente riconsiderata e  perigliosamente rivista.

    E, in fondo al tragitto, si staglia annosa ed inalterata la perenne disputa, tipicamente umana, tra comode illusioni e scomode realtà.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Nasce il Premio Platea per la nuova drammaturgia

    Il Premio Platea

    ROMA. 23 GIU. Nasce un nuovo premio per la nuova drammaturgia italiana, unico nel suo genere: al testo vincitore andranno una prestigiosa coproduzione tra Teatri Nazionali e Teatri di Rilevante Interesse Culturale, e la pubblicazione per i tipi di Einaudi. Promosso dalla Fondazione P.L.A.TEA. in collaborazione con Giulio Einaudi Editore e con A.N.A.R.T.

    In sintonia con le indicazioni del Decreto Ministeriale del 1° luglio 2014 e dando concretezza ai propri fini statutari per la formazione, promozione e diffusione della cultura e dell’arte, la Fondazione P.L.A.TEA. costituitasi nel 2008, in rappresentanza dei diciassette teatri stabili pubblici italiani, guarda alla produzione drammaturgica contemporanea come a uno strumento primario per la crescita culturale italiana. Il bando, riservato a opere inedite e mai rappresentate, scritte in lingua italiana, è rivolto ad autori di qualsiasi nazionalità che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età.

    I testi dovranno essere inviati entro le ore 24.00 di venerdì 16 settembre 2016 a mezzo posta elettronica all’indirizzo [email protected].

    La Commissione di selezione del “ Premio Platea ” sarà formata da cinque componenti scelti fra i direttori dei teatri aderenti alla Fondazione, da un componente designato da Giulio Einaudi Editore e da un componente designato dall’A.N.A.R.T.

    A rendere unico, e particolarmente rilevante, questo nuovo premio per la scena nazionale è lo sbocco produttivo ed editoriale riservato al testo vincitore, che – grazie a una coproduzione tra i teatri aderenti alla Fondazione – sarà messo in scena nel corso della stagione 2017-2018 e sarà pubblicato dalla Casa Editrice Einaudi nella collana Collezione di teatro. Lo spettacolo sarà in seguito programmato nei teatri della Fondazione P.L.A.TEA. e nei Circuiti Regionali aderenti all’A.N.A.R.T.

    La Compagnia di San Paolo sostiene la prima edizione del “Premio PLATEA” per la Nuova Drammaturgia.

    Per chi è interessato a partecipare, il bando è pubblicato su www.fondazioneplatea.it

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  • Il prezzo dell’ olio di gomito by Ligucibario

    Olio di gomito

    GENOVA. 21 GIU. Ricorre una divertente storiella, secondo la quale fu avvistato dal farmacista un giovane muratore il quale domandava al banconista il prezzo dell’olio di gomito, in quanto lo zio, per spronarlo ad un maggior impegno lavorativo, gli aveva intimato “ti ci vorrebbe del bell’ olio di gomito!”…

    Proprio vero che ormai sul web si trova tutto (basta saper cercare e saper vagliare), perfino un’antologia dei proverbi e modi di dire italiani già suddivisi per argomento. Olio e olivo non potevano davvero mancare, come ci “suggeriscono” anche lo studioso di cose onegliesi e ponentine Attilio Mela e il saggista toscano Mariano Fresta: è impressionante la quantità di espressioni e modi di dire (locali e non) sul tema, a confermare il ruolo che pianta e frutto (e succo) hanno sempre giocato nella storia dell’uomo e dell’italiano.

    Si palesa un universo dai ritmi ancora forzatamente rurali, in cui l’olivo proveniente dal paganesimo si consegna vitalissimo ai sincretismi indotti dall’avvento cristiano, conservando un nutrito corredo di virtù apotropaiche, nell’eterna lotta contro il male e le creature maligne, ad es. le streghe che la notte del 23 giugno “assediano” gli usci di casa per introdursi nella vita quotidiana delle famiglie…

    Così, se “il lume non arde senza l’olio” (ovvero occorre “investire” per oliare certi ingranaggi…), “a spander l’olio toccan disgrazie e dolo” (porta male sciupare le risorse). Se “a Santa Repolata ogni oliva inoliata” (l’otto ottobre le olive sono bell’e pronte alla vendemmia), “la verità è come l’olio” (si sottintende che torna sempre a galla, le bugie han gambe corte).

    Se “per i dolori olio dentro e olio fuori” (l’olio è salutare sia per le affezioni interne che esterne), “troppo olio spenge la lampada” (esagerare non ripaga, il troppo stroppia). Se “quanto più ciondola più unge” (quanto più la pianta è carica tanto più il raccolto darà olio), “agli ulivi un pazzo sopra e un savio sotto” (in cima occorre tagliare senza riguardi, in basso concimare con misura)…

    Infine, “gettar olio sulle onde” (ovvero placare un dissidio, rappacificare due litiganti, ridimensionare un contrasto) rinvierebbe ad una reale usanza marinara, allorquando durante le più brutali tempeste si gettava olio in mare, poiché la sua potente tensione superficiale attenuava l’impatto dei marosi sulla carena.

    Umberto Curti, Ligucibario

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  • L’utilità arcana della “vita plurale” – Nano Morgante

    L’utilità arcana della “vita plurale” – Nano Morgante (la trascendenza, i pilastri della creazione

    GENOVA. 18 GIU. C’é chi pensa che ogni fatto che ci accade attorno, in qualche modo collegato alle nostre relazioni affettive ed alla nostra quotidianità, assolva allo scopo di implementare ed alimentare le personali riserve di trascendenza e di esperienza; di forgiare interiormente le idee; di tradurre e rimuovere le nostre ataviche, ereditate paure.

    Immagino sia azzardato parlare di Karma, di certi oscuri ed esoterici segnali di passate, ipotizzate esistenze.

    Tuttavia intendo avviare la trattazione proprio verso questo misconosciuto e  (s)confinato indirizzo, proprio in quanto fuori dalle rotte tradizionali.

    Indirizzo che potrebbe aiutarci a comprendere, riconoscere e tradurre, quantomeno presuntivamente, taluni misterici segnali “da chissà dove”, in termini di evoluzione introspettiva.

    In effetti, é innegabile che il “divenire” dell’uomo si affievolisca e di giorno in giorno si intimidisca di fronte ad un suo “essere”  incerto, ad un suo incedere altalenante, alimentato più da malfidenza che da più distinti ed elevati sentimenti.

    Tutto sommato, non farebbe male ricondurre il pensiero, oltre gli ambiti di natura strettamente confessionale, al fatto che siamo e meritiamo ben altro del possesso materiale o dell’ambizioso  decoro sociale, brandelli di una Società ormai sfornita di ideali degni di menzione.

    Vi è esigenza di una “vita plurale” (cit. Angel Crespo). O, meglio ancora, di ricorrere ad una visione plurale dell’esistenza.

    Se non altro, avere pronta un’opzione  qualora non funzionasse appieno la nostra visione  tradizionale dell’esistenza, quella (apparentemente) più tranquillizzante.

    Massimiliano Barbin Bertorelli ( Nano Morgante )

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  • Ukraine on fire di Oliver Stone al Taormina Film Fest

    Oliver Stone

    MESSINA. 18 GIU. Al Taormina Film Fest è approdato Ukraine on fire di Igor Lopatonok, il film di cui Oliver Stone è coproduttore.

    Il regista di “Platoon” ha la visione molto chiara riguardo la politica estera americana infatti dice tranquillamente “Quello che succederebbe se fosse eletto Clinton o Trump conta poco. Negli Usa conta solo il sistema. Anzi la posizione di Hillary rispetto al sistema è ancora piu forte di quella di Obama”.

    Riguardo il film documentario che racconta le complicate vicende subite da una terra di confine e da sempre contesa, per la sua collocazione geografica, di cui ha curato le interviste si pronuncia così:” In questo film raccontiamo le cose in una prospettiva diversa, mai sentita. È difficile capire cosa è accaduto anche perché si confondono i nomi dei molti protagonisti. La cosa buffa è che un documentario come “Winter on fire: Ukraine’s Fight for Freedom”di Evgeny Afineevsky, che parlava degli stessi temi, è stato a un passo dagli Oscar, un lavoro però fatto tutto con materiale ufficiale e che diceva poco della verità di ciò che è accaduto”.

    Si parla degli scontri a Kiev per Euromaiden del 30 novembre 2013, per i quali ci furono centinaia di morti tra poliziotti e manifestanti; della storia del nazionalismo ucraino e del suo leader Stepan Bandera, nemico sia di ebrei che di russi, da sempre coperto dalla Cia; da quello che c’è dietro le cosiddette ‘rivoluzioni colorate’ (Serbia, Giorgia, Kirghizistan), movimenti a volte spontanei, ma poi pilotati dall’intelligence anche attraverso infiltrazioni delle Organizzazioni Non Governative.

    “Immaginate se una cosa del genere la facesse il Messico – dice Stone – , se pagasse oppositori messicani, il caso sarebbe subito stroncato dagli Usa come è successo per Occupy Wall Street”.

    Dalla sua conoscenza con Putin dice: “Sono stato colpito dalla sua natura non emotiva. Era molto calmo, ragionevole, e non mostrava di voler attirare simpatia, un uomo che conosce le cose”.

    FRANCESCA CAMPONERO

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  • La nozione minima di verità & il plauso a comando

    Avere la nozione consente una fluente trattazione

    GENOVA. 11 GIU. C’é un motto latino che, tradotto letteralmente, afferma: conosci l’argomento, le parole seguiranno. Il senso è immediatamente comprensibile: sapere le cose ne consente una fluente trattazione.

    Ma i tempi mutano, con le esigenze. E quindi anche i proverbi ed i motti richiedono ri-adattamento ad altre e sopravvenute condizioni del mercato.

    In buona sostanza, pare proprio che oggi l’improvvisazione abbia soppiantato la conoscenza. E tale improvvisazione, laddove pare emergere da una consuetudine oratoria spesso urlata e fumosa, viene affiancata da una trattazione intrisa non di rado di un “assoluto vuoto d’idee”  (Michele Ainis – LaLettura del CorSera).

    Nondimeno, continua sempre ad ammaliarci il relatore del momento quando si erge spavaldo a difensore etico delle nefandezze; quando si appella mediaticamente alla propria tetragona, annibalica volontà di conseguire l’interesse pubblico.

    E ci prospetta, consapevolmente, un ennesimo appiglio alla “speranza”: virtù  tradizionalmente collocata sempre “ultima”, sempre in fondo, come nel Vaso di Pandora.

    In nome di una nozione minima di verità, giace, in questo preciso momento, una folla, udente e poco ga-udente,  in attesa di plaudire a comando, di esprimere ovazioni in playback.

    Una folla in attesa dei saldi di fine stagione, della sconfessione urlata, dello scoop,  sempre a sacrificio della “verità” ed a beneficio di una sempre più esigente audience.

    Non la fantasia al potere (magari), bensì disperata vanagloria, inessenziale ostensione mediatica, irrinunciabile notorietà.

    Fino a che questa  emergente “nozione minimale di verità” disveli  “fini men che nobili”  di quelli tanto a lungo proclamati.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Da Ligucibario un omaggio agli agrumi con ricette

    Agrumi. Francisco de Zurbaràn, Natura morta

    GENOVA. 7 GIU. Un omaggio agli agrumi, dalla Liguria di Ligucibario®. Si suggerisce di leggerlo “regalandosi” ogni tanto uno sguardo al magnifico quadro “Natura morta con limoni, arance e una rosa” (1633) di Francisco de Zurbaràn.

    FRUTTO FARMACO Agrume deriva dal medievale acrumen = agro (acer), termine che rinvia alla sensazione di aspro, percepita in bocca dalle papille fungiformi disposte lateralmente sulla lingua. Gli agrumi da sempre entusiasmano proprio per l’unione di aspro e dolce

    FRUTTO TRIBUTO Le prime citazioni riguardanti gli agrumi in Cina datano attorno al 2200 a.C., essi erano un importante tributo all’imperatore, cui giungevano anche dalle regioni più periferiche, si può dire che in quella civiltà gli agrumi recitassero il ruolo che fu poi della vite in àmbito greco-romano-mediterraneo

    FRUTTO FECONDITA’ L’arancia deriva forse il proprio nome dal sanscrito nagaranja = frutto prediletto dagli elefanti, termine che si mescolò al latino aurum ( = oro) per il colore luminoso del frutto, simbolo di fecondità.

    FRUTTO ORNAMENTO La Sicilia è debitrice delle arance (bionde) agli arabi dei secoli IX-X, e all’estetica dei giardini, che fino a tempi recenti ornavano fittamente anche il centro di Palermo (perché gli agrumi come noto hanno piante evergreen, di bell’aspetto, e popolano tuttora i giardini botanici più “artistici”)

    FRUTTO SORBETTO I califfi divennero ben presto ghiotti di sorbetti profumati, a base di neve dell’Etna, zucchero di canna e succo d’arancia

    FRUTTO PORTOGALLO Mezzo millennio più tardi, trascorse le Crociate e attenuatosi il dominio delle repubbliche marinare sul Mar Nero, gli scambi soprattutto coi portoghesi, “padroni” del Brasile – ormai il ponte fra civiltà era gettato – , diedero infine altro impulso alla coltivazione

    FRUTTO LIGURIA Pernambucco, Siviglia…, qualcosa crebbe bene anche in Liguria, le bionde dolci Pernambucco sono celebri nel finalese, le bionde amare Siviglia, immangiabili da crude, si trovano ad es. a Vallebona (IM)…

    FRUTTO PATRIZIATO Non è casuale che il grande pittore Sandro Botticelli (1445-1510) raffigurasse alcuni aranci come sfondo per la sua “Primavera”, né che Bartolomeo Bimbi (1648-1730) “fotografasse” le arance rosse del Granducato di Toscana, né che per le piante si attrezzassero serre, le celebri “orangeries”, ovunque il clima poneva a repentaglio la loro esistenza, né infine che il finalese Giorgio Gallesio (1772-1839) dedicasse così tanto tempo alla tassonomia degli agrumi…

    FRUTTO MODA …insaporisce arrosti poi anche pesci, origina le “acque ghiacce” (antesignane della granita), entra in marmellate e farmaci, innamora di sé i profumieri, sappiamo che nel ‘700 da Messina carichi redditizi salpano verso Roma, Venezia, Trieste, Inghilterra, Olanda, Danimarca, Svezia…

    FRUTTO PAESAGGIO “viuzze che…mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni”. Sono parole di E. Montale, I limoni, dalla raccolta Ossi di seppia (1925)

    FRUTTO RICETTA Sul mio blog, Liguricettario, l’insalata d’arance (http://liguricettario.blogspot.it/2011_05_01_archive.html ), il filetto di pesce con zafferano e arance (http://liguricettario.blogspot.it/2011/05/filetto-di-pesce-con-zafferano-e-arance_6.html ), il rollé di coniglio al basilico e spicchi d’arance (http://liguricettario.blogspot.it/2011/05/rolle-di-coniglio-al-basilico-e-spicchi_9.html ), le scorze d’arancia candite (http://liguricettario.blogspot.it/2010/11/scorze-darancia-candite_2.html )

    FRUTTO SCORZA Dei limoni, l’agrume più coltivato in Italia, si utilizza soprattutto il succo, ma in passato (prima dell’avvento degli anticrittogamici…) anche le scorze, ricche d’essenze, da cui il liquore limoncino, o limoncello, le caramelle, ecc.

    FRUTTO ROMA? La pianta origina dall’India e dal sud-est asiatico, mosaici e sculture fanno ritenere che la conoscessero anche i Romani al culmine dell’espansione (circa 117 a.C.), teoria che, ove confermata, “smentirebbe” il cedro come unico agrume consumato in età imperiale

    FRUTTO RIVIERE Alla fine del XI secolo i commerci la approdarono a Salerno, Sanremo, Hyères…, dove trovò condizioni pedoclimatiche ideali (questa pianta è più esigente d’altre)

    FRUTTO COMMERCIO Appositi Magistrati, eletti ad aprile, presiedevano alla coltivazione e vendita dei limoni, organizzandone le modalità ed irrogando sanzioni. In fase di raccolta, con anelli di ferro si misuravano i frutti, scartando gli inadatti (si veda lo studio ottocentesco di Eraldo Mussa, Gli agrumeti nell’estremo ponente ligure), queste misure fiscali andavano dai 54 ai 35 mm

    FRUTTO QUALITA’ I limoni da vendita erano chiamati “alla todesca” (còlti acerbi, maturavano dentro casse viaggianti verso i mercati), viceversa i “caravana” erano limoni maturi, da vendita e consumo solo locale. Altri limoni, infine, si spremevano onde ricavare per distillazione l’agro (acido citrico), commerciato anche all’estero per bevande, tinture, come emostatico o diuretico

    FRUTTO “SPECCHIO” E’ dell’Africa settentrionale (Marocco…) la tradizione dei lamoun makbouss, limoni in salamoia, pressati almeno 40 giorni in un barattolo con sale e varie spezie. Il Mediterraneo, continui dialoghi da sponda a sponda…

    Umberto Curti, www.ligucibario.com

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  • Il sacro vino nell’antichità mediterranea

    La cultura del vino negli antichi greci

    GENOVA. 1 GIU. Oltre che bevanda, nell’antichità mediterranea il vino era anche alimento, sacro fin dai tempi di Dioniso (il Bacco dei Romani), dio incline all’ebbrezza ma al tempo stesso esperto di aratro e di miele.

    La vite giunse progressivamente in Mediterraneo da est, cioè dal luogo in cui si leva il sole. I Fenici, marinai e commercianti evoluti, circuitarono specie e pratiche prima dei Greci.

    Erodoto aveva attribuito ai Persiani una sfrenata inclinazione al vino, i Greci risultarono più contenuti ed esigenti, benché diluissero il vino con acqua marina, lo affumicassero, e impermeabilizzassero le anfore con resina di pino (aromatica)… Peraltro, quando i giovani ateniesi giuravano lealtà alla patria e agli dèi, invocavano – come testimoni – le vigne, il grano, l’orzo, gli ulivi, i fichi. E nell’Iliade e nell’Odissea già ricorrono sia alcuni luoghi vitati (Arne, Istiga, Epidauro) sia alcuni vini (il Pramnio, quello di Lemno, quello di Ismaro col quale Odisseo inebriò il Ciclope).

    I Greci bevevano vino nel symposion, fase del banchetto classico successiva al deipnon (cena) e finalizzata a “stare” con gli altri, ritualmente, giocando a “còttabo” e seguendo i suggerimenti di un simposiarca, che presiedeva al tutto e officiava libagioni moderate. Ed è Roma, anche grazie ai suoi acuti studiosi di ruralità, che attenua l’import a beneficio dei propri vini ormai tipici, che in séguito trasporta la viticoltura nelle Gallie e che rende Spagna, Marocco ed Egitto nazioni esportatrici di produzioni d’élite, non di rado dentro recipienti in cui già si segnano l’annata e la provenienza delle uve… Quelle vendemmie erano sovente tardive, perché da uve surmaturate si ottenevano vini densi, dolci, aromatici “alla greca”, che – qualora di qualità – tolleravano meglio la vecchiaia, altrimenti andavano bevuti sùbito.

    La loro “liquorosità” riusciva talmente grata che alcuni territori importarono ed impiantarono direttamente i vitigni da cui quei vini si ottenevano. Questi vitigni storici, insieme agli alloctoni, compongono l’attuale ampelografia mediterranea, sovente caratterizzata da fattori pedoclimatici unici al mondo.

    Il vino da sempre accompagna il corpo di Cristo nella liturgia eucaristica, il vino è vita e civiltà in chiara contrapposizione all’arretratezza oscura, il vino incarna ed evoca la mediterraneità (la Sicilia da sola oggi ne produce tanto quanto l’Australia, potrebbe figurare come settima nazione produttrice al mondo…).

    E come se non bastasse scriveva già l’enciclopedista Plinio il Vecchio che “nella qualità del vino influiscono il luogo e il tipo di terreno, e non l’uva o la scelta del vitigno, dato che la medesima varietà piantata in luoghi differenti genera qualità differenti”. Voilà dunque un vino mediterraneo che molti in generale hanno via via qualificato come generoso, longevo, portatore – ancora una volta – di caratteri unici e “solari” anche in virtù della vicinanza fra vigne e mare, lo zibibbo di Pantelleria, il moscato greco di Patrasso e Rodi, le malvasie sarde (malvasia deriva da Monemvasia, porto bizantino nel Peloponneso donde salpavano i vini di Creta e Cipro, destinati ad ecclesiastici e potenti)…

    Un panorama ampelografico che in Italia poggia su terroir pienamente vocati come Liguria, Sardegna, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia… In Francia focalizza subito Corsica, Provenza e Languedoc-Roussillon. In Spagna individua le autenticità prioritarie in Catalogna, Valencia, Murcia e Andalusia. Ottimi vini si producono anche in Slovenia, Croazia, Grecia, Cipro, Turchia, Israele, Libano (la felice valle della Bekaa, già fenicia, dove la vite soprattutto a bacca bianca alligna a causa o in virtù del colonialismo francese, che dominò l’area fra le due guerre. Si realizzano alcuni milioni di bottiglie (il 40% delle quali viene esportato in una ventina di Paesi), fra cui splendidi barricati e vini dolci liquorosi).

    Umberto Curti, www.ligucibario.com

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  • Arriva al cinema Sexxx, il film che ha conquistato Madonna

    Arriva al cinema Sexxx, il film che ha conquistato Madonna

    GENOVA. 31 MAG. Dopo il successo di critica e di pubblico al Torino Film Festival, il 4 e 5 luglio nelle sale italiane arriva Sexxx, il film libero e sensuale ispirato allo spettacolo di Matteo Levaggi, considerato una delle espressioni di punta della danza contemporanea italiana nel mondo.

    È una sera di novembre quando il regista Davide Ferrario si reca alla Lavanderia a Vapore di Collegno, edificio ottocentesco poco lontano da Rivoli adibito un tempo al lavaggio dei panni del Regio Manicomio e ora centro d’eccellenza della danza. Sta per assistere a SEXXX, lo spettacolo di Matteo Levaggi messo in scena dal Balletto Teatro di Torino, e ne rimarrà talmente colpito da decidere di farne un film.

    Come sempre accade per le opere di Ferrario, però, SEXXX non è solo la documentazione di quanto il regista osserva quella sera. La messa in scena della coreografia per il cinema – realizzata con montaggio e punti di vista insoliti per la videodanza tradizionale e con una colonna sonora che contempla David Bowie, Ultravox, Giorgio Canali, The Longcut, Ooioo e Massimo Zamboni mentre la musica originale per il balletto è di Bruno Raco – si arricchisce infatti di ricognizioni visive sul corpo nudo raccontato attraverso varie forme espressive, dalla pittura classica ai set dei film porno, con anche l’aggiunta di una sorta di fiction in forma di cortometraggio.

    Dopo la presentazione all’ultimo Torino Film Festival,  la stessa Madonna ha chiesto di vedere il film, inviando quindi i suoi apprezzamenti al regista. “Il corpo e il suo linguaggio – dice il regista riguardo a Levaggi – e sono da sempre tra i temi che mi interessano di più. Per questo SEXXX è una ricognizione visuale sulla messa in scena del corpo nudo: dai nudi classici di Tintoretto e Palma il Vecchio fino a quelli dei set porno visitati quando realizzai GUARDAMI. Insieme danza, documentario, fiction e forse video arte, il film non si lascia ingabbiare da nessun genere. Ho cercato di riprendere la danza come se raccontasse una storia, utilizzando uno stile strettamente cinematografico, quasi che la macchina da presa fosse un altro elemento della coreografia, spesso aggiungendo movimento a movimento. Credo che l’esperienza che ne avrà lo spettatore sarà lontanissima da quella del punto di vista della platea che ha visto lo spettacolo a Collegno”.

    Il film di Ferrario non si rivolge solo agli appassionati di danza moderna ma parla anche a coloro che si interrogano a tutto tondo sul ruolo della fisicità e del gesto nel mondo contemporaneo, come testimonia la sequenza della performance di Levaggi stesso con gli artisti visivi Corpicrudi.

    SEXXX  è prodotto da Rossofuoco con il sostegno di Lombardia Film Commision e Film Commission Torino Piemonte, sarà nelle sale italiane distribuito da Nexo Digital con il media partner MYmovies.it.

    FRANCESCA CAMPONERO

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  • Janet Ross, Leaves from our Tuscan Kitchen

    Janet Ross Leaves from our Tuscan Kitchen

    GENOVA – Numerose le donne che si dedicano allo studio e alla divulgazione del sapere gastronomico, tanti i volti (e le firme) ormai noti al pubblico attraverso i media tradizionali e la blogosfera.

    Nel tempo, alcune esponenti di questo universo al femminile si sono rivelate anche eccezionali “ambasciatrici” di cucine straniere (a inizio anni ’60 fu Julia Child a rivelare agli USA le meraviglie dell’arte culinaria francese) e di inedite tecniche culinarie (il ringraziamento ad Elena Spagnol per aver sdoganato in Italia la pentola a pressione è testimoniato dalle ristampe a furor di popolo del volume omonimo).

    Tra le pioniere del food writing merita una menzione speciale Janet Ross (1842 – 1927), scrittrice di viaggi e diarista che nel 1899 diede alle stampe Leaves from our Tuscan Kitchen, il primo manuale di cucina sulle verdure pubblicato in Gran Bretagna. How to cook vegetables recita infatti il sottotitolo di un volume ancora oggi bestseller della letteratura gastronomica d’Oltremanica grazie agli aggiornamenti di Michael Waterfield, erede dell’autrice, cuoco e ristoratore.

    La piccola grande rivoluzione della Ross fu di aver fatto scoprire all’Inghilterra edoardiana l’universo “sconosciuto” delle verdure, all’epoca ritenute poco più di una decorazione della portata principale, un banale panorama di patate, piselli e cavoli lessi, stigmatizza l’autrice nella prefazione del volume. Ma per fortuna “l’innato amore dell’essere umano per il cambiamento è evidente anche in cucina”.

    Le ricette accuratamente raccolte e proposte dalla Ross sono quelle di Giuseppe Volpi, suo cuoco per più di trent’anni nella villa toscana di Poggio Gherardo. Ben lungi dall’essere l’ennesima ricca lady britannica annoiata e in buen retiro fiorentino, Janet visse un’esistenza (auto-narrata in The Fourth Generation) movimentata e per nulla indolente.

    Di ottima famiglia, cresciuta nell’élite intellettuale dell’epoca, intorno al 1870 a causa delle traversie economiche del marito, un banchiere, si trasferisce in Toscana. Qui rivela ottime doti imprenditoriali e di PR: conduce la tenuta di Poggio Gherardo, ne vende con profitto i prodotti, esplora l’Italia, collabora con alcune riviste, pubblica libri di successo e diventa un punto di riferimento della comunità angloamericana locale.

    Il volume è dedicato proprio a una coppia di amici inglesi, nell’auspicio che “a thought of Italy” (un pensiero, un ricordo dell’Italia) raggiunga la loro bella casa nel Surrey. Ed Italia ce n’è molta in questo ricettario, dagli ingredienti, alle ricette, alle preziose indicazioni sulla preparazione delle verdure (compresa la necessità di lavarle prima dell’utilizzo…): un oceano di notizie che l’autrice trae anche da “Come si cucinano i legumi”, pubblicato pochi anni prima dalla Fratelli Ingegnoli di Milano, storica (inizio ‘800) azienda specializzata nella vendita di sementi (in attività ancora oggi) probabilmente fornitrice della volitiva businesswoman anglo-toscana.

    L’indice del volume (si fa qui riferimento all’edizione del 1903) è rigorosamente alfabetico, circa 350 ricette da “Artichokes alla Barigoul” (carciofi farciti con carne di maiale e funghi, fritti in padella e messi al forno con burro e brodo) a “Truffles sul tovagliolo” (tartufi bolliti – sic! – in brodo di vitello e Madera) articolate nei seguenti capitoli: artichokes (carciofi), asparagus, (asparagi), bean (fagioli), beet leaves (bietole), beetroots (barbabietole), broccoli, Brussels (cavoletti di Bruxelles), cabbage (cavoli), capsicum (peperoni), cardoons (cardi), carrots (carote), cauliflower (cavolfiori), celery (sedano), cucumber (cetrioli), egg-plant (melanzane), flan, leeks (porri), lettuce (lattughe), lentils (lenticchie), maccaronis and other pasta, mushrooms (funghi), onions (cipolle), parsnips (pastinache), peas (piselli), polenta, potatoes (patate), pumpkins (zucche), rice (riso), risotto, salads (insalate), sauces (salse), soups (zuppe), tomatoes (pomodori), truffles (tartufi). Nome della verdura in inglese, ma rigorosamente in italiano le modalità di preparazione: al forno, fritte, al burro, alla crema, al gratin, pasticciate, piatti spesso “strong”, ricchi di grassi animali e adatti ai robusti palati della belle époque. Nonostante il tema “green”, il ricettario presenta sezioni su pasta (compresi “agnelotti” e gnocchi alla romana), riso e risotti, e ricche sezioni dedicate alle insalate (5 le varianti per l’insalata di pomodori), alle salse (segnaliamo la “caper sauce alla genovese” – cipolla trita, prezzemolo e acciughe passati in padella e cotti nel brodo con aceto ed erbe aromatiche) e alle zuppe.

    Ancora oggi Leaves from our Tuscan Kitchen è un ricettario ricco di spunti intriganti e al tempo stesso una cronaca gourmet del tempo che fu. Una lettura godibilissima, etnogastronomica e sostenibile – l’edizione del 1903 la si trova digitalizzata su www.archive.org. (nella foto: il libro di Janet Ross:  Leaves from our Tuscan Kitchen).

    Umberto Curti, www.ligucibario.com

    Leggi l’articolo originale: Janet Ross, Leaves from our Tuscan Kitchen