Categoria: Cultura Italia

  • Il Nano Morgante | Intermezzo con sorpresa

    Il Nano Morgante | Intermezzo con sorpresa

    GENOVA. 8 OTT. Ciascuno forma e sostanzia la propria esistenza dando importanza a cose, fatti e persone secondo propri valori ed ordini di priorità: in nome di un criterio rigorista e rigoroso percentualmente ripartito tra “ragione” ed “istinto”, tra doveri e desideri.

    Purchessia, è fuor di dubbio che gli eventi umani si orientino secondo un indirizzo prudente, solo di rado propenso alla casualità; nel tentativo di ovviare ad un fato inteso quale un dispiegarsi, accomodarsi e modellarsi non sempre favorevole e mai governabile.

    Gli eventi si fanno pertanto accadere in seguito all’applicazione di un criterio sensato e ragionevole, volto principalmente a preservarsi il più possibile e proteggersi da insidie ed intrusioni, non di rado immaginarie.

    Tale approccio “mentale”, sebbene persegua un onesto e legittimo obiettivo di qualità, risulta alla lunga inesitato ed incerto per rappresentare un sistema unanimemente consigliabile.

    Questo arcano dualismo, con buona probabilità, indurrà il lettore ad uno stupito smarrimento o ad una serrata contrapposizione. Od a nessuno dei due. Nondimeno, occorre non confondere la contentezza degli altri con la nostra, poiché le due cose raramente coincidono.

    Non esiste regola valida per tutti contemporaneamente. Pur tuttavia, esiste una regola “imposta” da una sommatoria educativa, dal proprio precipitato storico, dai condizionamenti più o meno interiorizzati.

    Nel tentativo di comprendere percorso e direzione, “la nostalgia delle prime cose” (cit. D. Campana) ci può assalire ed avviluppare tra le sue spire. E rammentarci quando, a scuola, un “problema” aveva una sola soluzione. L’unica certa e dimostrabile.

    Esiste sempre una “scala” di affetti, di momenti, di esigenze che rappresentano e caratterizzano emozioni, non sempre riconducibili al soddisfacimento di bisogni presenti. Poiché ogni nuova esigenza, ogni nuova esperienza che nasce, nasce per colmare una mancanza non sempre ed obbligatoriamente ricolmabile.

    E poiché, in tutto questo, non c’è un valido motivo per cui il tempo debba fluire inerte, trascorrere invano, sarebbe utile predisporre un elenco in cui utilmente combinare le esperienze & le esigenze, collocando l’urgenza delle conseguenti azioni secondo il consueto, prevedibile ordine: in cima le prime, in fondo le ultime.

    Non restando tuttavia troppo sorpreso se la pre-occupazione riguardasse  quelle collocate a metà.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

  • A Firenze all’asta i ricordi di Sandra Milo

    FIRENZE. 3 OTT. Il nome di Sandra Milo ci riporta alle atmosfere felliniane di 8 ½ e Giulietta degli Spiriti e del grande cinema italiano degli Anni Sessanta. Il 6 ottobre a Firenze, la Maison Bibelot alle ore 16 celebra la star italiana dedicandole l’asta Sandra Milo una vita tra Cinema e Arte: i ricordi di una diva.

    L’importante affidamento comprende sculture, dipinti e circa duecento fotografie della sua raccolta personale: un itinerario assolutamente unico della sua carriera artistica e della storia del cinema italiano attraverso gli scatti dei più noti fotografi italiani: Tazio Secchiaroli, Franco Pinna, Chiara Samugheo, Elio ed Elda Luxardo, Angelo Frontoni e molti altri.

    In asta anche una vera rarità: una serie di dieci diacolor realizzate da Federico Fellini e Giuseppe Rotunno della Milo nei panni della Gradisca, il noto personaggio di Amarcord creato apposta per lei dal grande regista, che avrebbe dovuto interpretare.

    Fanno parte della raccolta personale di Sandra Milo anche opere d’arte che la ritraggono come modella d’eccezione. Non solo diva del cinema, ma anche musa e amica di importanti artisti contemporanei, Francesco Messina, Baj, Fiume, Guttuso e di stilisti come Gianfranco Ferré.

    Il masterpiece della collezione è certamente la scultura di Francesco Messina, il nudo bronzeo Sandra, eseguito nel 1958 a Brera, esemplare unico (h cm 63, stima € 25.000,00 /30.000,00) – dove il famoso artista è riuscito a trasmettere nelle forme e nel modellato l’empatia e l’affinità con la sua musa.

    Una sezione dedicata all’alta moda sartoriale è rappresentata da alcuni abiti indossati in occasioni particolari, come quello realizzato dalla nota Sartoria Tiziani di Roma e indossato per la presentazione di “Giulietta degli spiriti “a New York nel 1966. In seta bianca, impreziosito da bordure in jais dorate, è stato donato dall’attrice alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti: un pezzo storico che entrerà a far parte dell’importante collezione museale fiorentina.

  • Il Nano Morgante | La morfologia del limite individuale

    GENOVA. 1 OTT. Propongo, per ironico diletto, una fugace riflessione sul genere e sulla morfologia dei “limiti” che, a vario titolo, gravano sulla e nella nostra esistenza.

    Ai fini della trattazione, mi avvio ad  una irrituale distinzione tra limiti “interiori” ed “esteriori”, escludendo ovviamente dal novero le originarie connotazioni morfo-adattive della specie umana.

    La prima tipologia di “limite” la si può comodamente far discendere dalla individuale impalcatura cromosomica, da tutto ciò che in ciascuno costituisce vincolo sistemico del proprio agire. In specie, dal carattere e da quegli elementi che intervengono e confluiscono nella dinamica intraneità/estraneità. Da ciò che, ribadisco, attiene ab ovo all’inesorabilità del tracciato individuale.

    La seconda tipologia, spondale, la si può intravvedere nei condizionamenti indotti e prodotti dal proprio precipitato storico. Eredità e vincoli educativi via via tradotti negli e dagli alterni accadimenti.

    Diviene ora ardita divagazione e pragmatica demarcazione discernere, tra le ipotizzate tipologie, i limiti maggiormente insidianti; o, per dirla in altro modo, quelli da cui riteniamo di poterci sottrarre.

    E’ evidente, ad esempio, che in ambito lavorativo (v. precedente “L’inesorabile logica del gruppo“ ) insista una forza potente e invisibile che regola le modalità intersoggettive, che incasella con nettezza il dovere e il piacere, gli obblighi  e i desideri, che omologa i comportamenti.

    Se assumessimo per veritiero “Il tuo diritto di essere è ciò che ti permetti di fare” (cit. G. Stirner),  avvaloreremmo l’autonomia dell’individuo e lo riporteremmo progressivamente al centro gravitazionale  delle proprie azioni logiche.

    Ciò estende e sottintende di fatto l’orizzonte operativo individuale, al punto da riconsiderare ed assiemare, in via definitoria, una unica tipologia di limite (e nel contempo, di opportunità): quella dell’individuo inscindibilmente collegato alla Comunità, entità che condensa il quotidiano pensare e lo media nell’agire conseguente.

    Quella che “fa del mondo un’unica famiglia”, riecheggiando un brano di Jovanotti.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

  • Il Nano Morgante | …e tutti finsero felici e contenti

    GENOVA. 24 SET. Capita talvolta, nel naturale disporsi ed evolversi delle vicende, che la nostra condizione non sia perfettamente allineata con taluni nostri desideri.

    Capita anche talvolta che la nostra volontà sia direttamente od indirettamente ostacolata o quantomeno influenzata da circostanze, eventi, abitudini. E che soggiaccia ad una beante, insanabile fenditura, tra opportuno & inopportuno, tra bene & male, tra sé & altro da sé.

    Progressivamente gravoso è l’incedere umano: come una piccola palla di neve che, rotolando verso il basso, s’inspessisce fino a diventare un enorme e pesante macigno.

    L’atto di riflettere non sempre ci agevola. Spesso è solo un tributo ad esigenze precostituite, ad una prassi per cui l’agire istintuale e la spontaneità divengono la principale causa di errori, categorie arcane da mettere al bando.

    A tal proposito, é prevedibile che taluni riservino faziosa critica alla sola idea che dall’avventatezza, dalla libera esternazione del pensiero, possa  sortirne alcunché di positivo.

    Non ho difficoltà nel credere, tuttavia, che ogni circostanza in cui abbiamo dato prova di accogliere i suggerimenti altrui o di scegliere secondo dettami precostituiti, in realtà abbiamo contribuito, nel tempo, più a “conquistarci un posto in cielo” che al nostro concreto bene.

    Nella credibile ipotesi che ciascuno di noi, a proprio inconsapevole nocumento, crei col tempo convinzioni e suggestioni di comodo, adottiamo un’opzione alternativa ad una rassicurante e pseudo-domestica, cui siamo rimediabilmente  assuefatti.

    Il fiabesco epilogo “felici e contenti” è ormai un drappeggio applicabile a comoda discrezione: degna conclusione al “tutti vissero” del tempo antico ed altrettanto al  “tutti finsero” del tempo  presente.

    Sia come sia, per premunire la nostra favola quotidiana di una legittima e giusta dose di verità, non resta che attingerla dalla nostra infanzia, nella considerazione che “avere un cuore da bambino non è una vergogna, è un onore”  (cit. E. Hemingway).

    Massimiliano Barbin Bertorelli

  • Il Nano Morgante | Il naturale principio del cambiamento

    GENOVA. 17 SET. Interpretare gli eventi non equivale a stabilirne il vero significato, non di rado ben distante da ogni possibile e singola mentalizzazione.

    Cosa ovvia, visto che ogni interpretazione risente dell’elemento soggettivo del giudizio e che ogni singolo commento rappresenta solo l’angolatura di una multifocalità di pensiero.

    Sia come sia, tutto diviene, a prescindere da ogni possibile considerazione. Nulla resta uguale a sé stesso, pur conservandone indole, natura, essenza.

    Così, le forze della Natura, incontrollabili e primordiali, hanno sorpreso e spaventato fin dalle origini dell’Umanità ed  ancora sorprendono ed intimoriscono l’uomo contemporaneo, facendo percepire al massimo grado la sua inerme condizione.

    E manifestano con drammatica limpidezza, a chi ha occhi per vedere, il limite e la precarietà della nostra specie, la sua effimera e distruttiva presenza sul Pianeta.

    Non resta che prendere atto, senza alcuna riserva, che l’uomo mai é stato e mai sarà il padrone di alcunché, né di sé stesso né tantomeno della Terra, sebbene insensatamente pare considerarsi tale, dandone esiti altrettanto insensati ed autolesivi.

    Premesso ciò, evito accuratamente il percorso minato delle “probabilità” ed il pentagramma di emozioni che promana dalla atavica paura di ciò che non si conosce e non si vede: di ciò che è avvolto nel buio, precluso ad una immediata contemplazione e comprensione.

    L’inusitata e reciproca aggressività esercitata dall’uomo sull’uomo (cit. Hobbes) ed il dominio senza costrutto su ogni specie vivente, di matrice prettamente mercantile-economica, non hanno riverberato nel tempo, com’era prevedibile, un contesto sufficientemente evoluto e qualitativo di vita. Contesto che non ha introdotto né garantito rispetto e cura per il mondo di cui facciamo parte e di cui subiamo e subiremo i colpi e i contraccolpi.

    La natura è una “entità” in perenne irrequieto sommovimento (mi si conceda l’avventato concetto). Un inesorabile dinamismo avviluppa ogni cosa a sé; coinvolge e conforma tutto e tutti alle proprie immutabili, sovraordinate, naturali regole.

    D’altronde, “gli oggetti fisici sono veri aggregati di qualità in continuo movimento”, così come “ ciascun individuo altro non è che un insieme di sensazioni distinte continuamente mutevoli” (cit. Platone).

    Tale dinamismo offre sempre spettacolo e memoria di sé. Nel silenzio di un cielo stellato, nello spazio infinitesimo in cui deflagra la nostra misera idea del tempo, nell’infinità riassunta in un impercettibile istante.

    E proprio in quell’istante impercettibile, inconsapevolmente, tutto cambia. E da lì, ogni volta, tutto ricomincia.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

  • Il Nano Morgante | Lo smarrimento del lessico elementare

    Lo smarrimento del lessico elementare

    GENOVA. 3 SET. Alla fine dei conti (all’inizio, meglio ancora) si potrebbe notare l’esistenza di un nesso, di un legante, di un significato comune tra le cose.

    A conferma di ciò, anche il singolo dato scolastico,  tratto da qualche testo, rinvenuto in un cassetto della memoria, già lo si poteva magicamente connettere ad una rete di altri dati.

    Né più né meno come i tasselli di un “puzzle” sparpagliati alla rinfusa sul tavolo. Tutti indispensabili per assolvere, nella loro futura ed esatta collocazione, ad una funzione collettiva più significante di quella singola.

    Certamente, è arduo definire con un concetto unitario questo sterminato e psicologico aggregato di Umanità, questo “palcoscenico troppo grande per lo spettacolo che si gira”, come congetturava  Feynman.

    E’ anche vero che la finitudine in cui è gettato l’uomo impedisce  la piena  comprensione del dato universale ed assoluto, facendone egli parte solo per una infinitesima ed inessenziale porzione.

    Ipotizzando quindi l’estraneità di tale ampiezza dalla capacità contemplativa umana, si contempla tuttavia una innata tentazione speculativa, in apparenza illogica.

    Ma la “logica” è sempre una categoria afferibile alla natura ed alle vicende umane?

    Forzando l’ipotesi a favore, si comprende che ogni prospezione è via via sempre più zavorrata rispetto alla condizione di partenza.

    Opponendo a quanto anzidetto una fugace riflessione, capita che, volendo partire da un qualunque termine del lessico elementare, si tenti di astrarne e di contemplarne appieno il “significato” e, nel mentre, se ne smarrisca con l’assonanza il significato, entrando in una zona d’ombra.

    Per uscire dall’impasse, non è utile ripetere in successione suono e parola, quasi come in “Shining”, quando il protagonista, uno scrittore ormai depredato dalla follia, riempie compulsivamente i fogli con la stessa frase dattiloscritta.

    Il punto è che, anche se si fa uso di termini comuni e concetti apparentemente scontati, permane comunque la difficoltà. Poiché ogni singola parola mai è stata (né, probabilmente, sarà) elaborata a sufficienza, mai compresa appieno. Né unanimemente  condivisa.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Il mito della sorte incombente | Il Nano Morgante

    Il mito della sorte incombente

    GENOVA. 27 AGO. “Sfatare un mito” è  impresa ardua. Il mito, una volta “mito”, tende a rimanere tale. Ed il conseguente obiettivo di “sfatarlo” rischia di essere un obiettivo individuale esorbitante, utopico. Il più delle volte, inutile. Tanto quanto la sua creazione.

    Non di meno, il mito dell’inerranza, cioè dell’infallibilità (in questo caso applicata al quotidiano), dovrebbe essere sfatato per alleggerire l’insormontabile fardello che ostacola le idee e l’agire. Tanto più che, in conforto all’assunto, ogni idea meritoria e lodata azione hanno, nel tempo, sempre comportato innumerevoli errori ed altrettanti tentativi. Ed enfatici (anche se postumi) encomi.

    Confidando quindi nella benevolenza dei posteri,  delineo come invalidante il diffuso mito della sorte incombente. La diffusa appercezione che rimanda ad ogni libero agire un destino inesorabilmente inglorioso, laddove le avversità assumono il ruolo di protagoniste, fautrici impietose e mute di giochi a noi incomprensibili e mai “fortunosi”.

    In verità, nei composti ragionamenti e nelle cifre stilistiche  che ne conseguono, il pensiero umano, pur animato da trascendenze, irradia effetti reali.

    Interpretare quindi la sorte come un’Entità accigliata, inter-ferente e pronta a calare la sua scure sul nostro capo e sulle nostre azioni é una consuetudine incauta, un gemito scaramantico di dubbia efficacia.

    Quest’Epoca lacerata e dissennata sembra sopravvivere in modo dimesso ed artificioso, subire la pressione della sua a-storicità, del suo tendenziale e progressivo disconoscimento della contemporaneità ed utilità della Cultura passata.

    In realtà, rifacendoci alla Storia, nessuna entità malevola scruta l’agire umano, nessuna sorte incombe sul destino dell’uomo se non quella stessa che l’uomo produce e proietta, più o meno inconsapevolmente, su di sé.

    Ciò avvalora la tesi che tutto ciò che ci accade è causale: poiché, nei limiti naturali e temporali che ci pertengono, pur nella complessità degli eventi, la causa è in noi stessi:  “siamo solo noi”, esorcizzando la sorte con le parole di Vasco Rossi.

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Torno da mia madre. Commedia gradevolissima sui legami familiari.

    ” Torno da mia madre”; una scena del film con Alexandra Lamy e Josiane Balaskovic

    GENOVA. 25 AGO. In ” Torno da mia madre “, sesto Lungometraggio del regista francese Eric Lavaine, titolo originale “Retour chez ma mère”, per quanto il titolo suggerisca un lungo indugio sul personaggio della figlia, pur molto composito, è la Madre l’autentica protagonista della pellicola, dall’incipit alla chiusa.

    La Madre, che corrisponde al nome di Jacqueline Mazerin, è interpretata da un’avvincente Josiane Balaskovic, eccellente nella sua performance, che esercita davvero il potere di ammaliare lo spettatore, trasportandolo verosimilmente nel film. Il  personaggio di Jacqueline, esprime una donna brillante, solo lievemente spigolosa, con una corposa voglia di vivere, nonostante lo scorrere degli anni.

    In netta contrapposizione con la figlia, Stephanie Mazerin, che ha il volto dell’affermata Alexandra Lamy, architetto di successo che all’improvviso si ritrova stanca ed in parte ripiegata su stessa, avendo perso il prestigioso lavoro a seguito di illeciti di cui lei non è responsabile e sola con un figlio di 6 anni che condivide con l’ex marito e la nuova moglie di quest’ultimo.

    In effetti, Eric Lavaine,  ha dichiarato di voler mostrare attraverso questa commedia dolce-amara, la cosiddetta “generation boomerang”, ossia la nostra generazione che, in questa società post-moderna, rischia troppo spesso d’essere umiliata e svilita dai non Diritti del Mercato e nella quale anche le relazioni sono ormai liquefatte.

    Così nella trama, come ahimè nella vita reale di molti, Stephanie, trovandosi al verde con un bambino, prepara un paio di valige e torna nella casa materna, intrecciando di nuovo un legame in salutare equilibrio con la madre; a ruoli invertiti! In effetti in questa deliziosa commedia, non è la figlia ad ostentare dei segreti, bensì la madre che, vedova, si è ricreata un legame emotivo e marcatamente passionale con l’inquilino del quarto piano, Jean, interpretato da Didier Flamand, relazione che inizialmente si impegna a nascondere.

    Invero vorrebbe annunciarlo in grande stile, in occasione di una cena in presenza anche degli altri due figli, Carole Mazerin, che ha le fattezze di una bella Mathilde Seigner e Nicolas, interpretato da Philippe Lefebvre, i quali fraintendono la sua agitazione per un principio d’Alzheimer, quando la persona più sana della famiglia è proprio la madre, al contrario di tutta la prole, palesemente frustrata.

    Il giorno successivo all’inconcludente reunion, solo frutto di aspre tensioni tra i tre fratelli, la madre confessa non solo la relazione con Jean, ma che in realtà quest’ultimo  rappresenti il suo grande amore da sempre, ancor prima che il loro padre morisse. Dichiarazione tagliente che indurrà i figli a guardare dentro se stessi ed a migliorare le proprie vite, sull’esempio del saldo entusiasmo della madre, donna pratica e romantica al tempo stesso, sempre preda delle ballate nostalgiche di Francis Cabrel, cantautore folk francese, d’origini friulane, la cui musica accompagna alcuni momenti della pellicola.

    Jacqueline tra l’altro, in chiusa del film, risolverà ingegnosamente la compromessa situazione economica della figlia Stephanie. Decisamente un lieto fine che accontenterà i nostalgici di Frank Capra, ma di cui tutti noi, in quest’epoca sgualcita dalla precarietà, abbiamo bisogno.

    Validissime le musiche originali di Fabien Cahen, affermato cantautore francese. Belli gli esterni, girati ad Aix-en- Provence, location che Lavaine ha scelto per l’intensità della Luce del Sud. Un po’statici gli interni, interessanti i primissimi piani sulle pietanze, cucinate dalla madre.

    Da vedere per rasserenarsi!

    Romina De Simone

     

     

     

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  • L’ambiziosa cerchiatura del quadro de Il Nano Morgante

    L’ambiziosa cerchiatura del quadro

    GENOVA. 13 AGO. Si pensi alla realizzazione di un dipinto. E, ancora prima, alla tela vuota che ne costituisce supporto. Al percorso emotivo tra la presumibile incertezza della prima pennellata e la liberatoria stesura dell’ultima. E, infine, si pensi all’opera, che, nel mezzo, via via prende forma.

    Sovviene d’istinto un quesito forse inessenziale, pur tuttavia comprensibile: come, e quando, ci si accorge che un’opera è “conclusa”?  Qual è il fatidico istante che conduce al “naturale equilibrio”, in cui nulla va aggiunto e nulla tolto?

    Di certo, occorre misura, esteriore ed interiore. Cedere alla “lusinga del colore” potrebbe irrimediabilmente compromettere il quadro, l’idea e l’immagine trasposta su tela.

    Ciò vale, secondo limiti e proporzioni, per ogni azione dell’uomo: analoghi presupposti, simili disposizioni dell’animo: l’anelito a trascendere la realtà, i limiti e vincoli invalicabili che la stessa pone alle idee ed alla volontà.

    Limiti e vincoli che Dante sperimenta nella Commedia, quando pone la “quadratura del cerchio” a metafora dell’impossibilità di comprendere l’Entità assoluta, il Divino. Quando volge inspiegabilmente ad altro, in tal disperante tentativo, l’hybris, l’irriverenza sfrontata della volontà superomistica.

    In realtà, nulla è davvero indifferente. Tutto sostanzia. Tutto è manifestazione e costante rielaborazione.

    Fuor e dentro di metafora, acclarata l’impossibilità di “quadrare il cerchio”, aggiriamo l’ostacolo: si tenti, con altrettanta ambizione, di “cerchiare il quadro ”: con l’ultima pennellata, con un impercettibile sfioramento cromatico della tela.

    Impercettibile, forse, alla vista altrui, ma non alla nostra.

    D’altronde, se l’agire dell’uomo si compie e si nutre dell’ idea del sublime, non deve forse egli stesso, proprio per questo motivo, sempre e comunque ambire ad essere il meglio di ciò che può essere?

    Massimiliano Barbin Bertorelli

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  • Terra Madre 2016. I piccoli a scuola di biodiversità

    TORINO 8 AGO. Se si è stati piccoli prima del 1986, di sicuro non si ha mai usato questa parola, coniata dall’entomologo Edward Wilson proprio in quell’anno. Ma i bambini di oggi, che dovranno esserne custodi negli anni futuri, sanno che cos’è la “biodiversità”?

    Le attività per scuole e famiglie di “Terra Madre Salone del Gusto 2016” a Torino dal 22 al 26 settembre prossimi si pongono l’obiettivo di avvicinare i più piccoli a questo tema perché biodiversità è una parola un po’ difficile, ma il suo significato è semplice: non significa mettere sotto vetro le varietà da preservare, ma agire tutti i giorni per assicurare un futuro rigoglioso al nostro pianeta. I bambini iniziano a farne esperienza fin dalla più tenera età, mangiando frutta e verdura di forme e colori diversi e giocando a riconoscere fiori e foglie degli alberi.

    La varietà delle specie viventi è un argomento che interessa tutti, grandi e piccini, perché riguarda la natura, la vita e il futuro del nostro pianeta. Comune a molti, però, è anche la preoccupazione per la sua scomparsa, per la perdita di specie che continua da decenni indisturbata: Fao, infatti, il 75% delle varietà vegetali è irrimediabilmente perso, come si sta smarrendo il nostro contatto con la

     

    “La curiosità dei bambini è sorprendente: sono pronti a imparare tutto e la natura ha moltissimo da insegnare” – dice Andrea Giaccardi (in foto sotto), contadino all’Orto del Pian Bosco di Fossano (Cn), da anni impegnato nelle attività didattiche di Slow Food. A “Terra Madre Salone del Gusto”, è uno dei protagonisti del workshop “Contadino a chi? Incontriamo i mestieri”, in cui i bambini sono guidati alla scoperta dei segreti di mestieri affascinanti ma spesso bistrattati, che tutti i giorni danno vita a un sistema produttivo sostenibile. “La buona notizia – dice Andrea – è che, rispetto a qualche anno fa,  i bambini sono più attenti al cibo e all’agro-ecologia: se ne parla di più e secondo me non è solo una moda, sono argomenti che entrano nei dialoghi quotidiani e anche i bambini lo sentono e sono coinvolti in questo processo culturale”. Gli alunni dialogheranno con Andrea, con un mastro gelataio, un pescivendolo e un torrefattore, perché la loro curiosità sia stimolata sui mestieri che fanno bene alla terra e tutelano, ognuno a modo proprio, la biodiversità delle specie animali e vegetali del mondo.

    Per tutelarle al meglio è, però, fondamentale conoscerle: “Il giro del mondo in quattro cereali” è il laboratorio ludico-didattico che racconta ai bambini le storie di Mister Mais, Signor Grano, Mukulu Sorgo e Sensei Riso, e quante varietà esistono al mondo di questi quattro cereali. Poiché il piacere del gioco è il mezzo migliore per imparare, il Borgo Medievale sarà teatro un’avvincente caccia al tesoro, con una tappa per ogni cereale: quale posto migliore per nascondere un indizio sul grano se non il forno del Borgo? E l’acqua del fiume Po, cui si affaccia il Castello Medievale, non ricorda una risaia?

     

    Finita la teoria, si passa a una divertente attività in campo: l’incontro didattico-esperienziale “Seminiamo la biodiversità”, realizzato in collaborazione con Arcoiris, coinvolge i bambini nella semina, insegnando loro a fare l’orto per capire come nasce il cibo che mangiamo ogni giorno. L’attività perfetta per insegnare il valore della lentezza, il rispetto dei propri ritmi e di quelli degli altri, e imparare facendo, perché l’esperienza diretta alimenta e rafforza l’apprendimento.

     

    Ma la biodiversità non è l’unico tema che “Terra Madre Salone del Gusto” offre ai bambini e ai ragazzi: si possono scopri gli eventi e le iniziative pensate per i visitatori più giovani, dagli incontri didattici, ai laboratori ludici, alle mostre, fino ai workshop e alle presentazioni.

    Marcello Di Meglio

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